Tantissimo è stato scritto a favore e contro il femminismo, un movimento fatto di pluralità di intenti e di forme, pieno di luci e di ombre. Nel corso della storia abbiamo assistito all’evolversi di varie correnti di pensiero, spesso in contrasto tra loro su molti fronti, ma responsabili di aver contribuito, ciascuna a modo suo, ad abbracciare più soggetti nelle rispettive specificità e differenze.
Un fatto indiscutibile è la preziosa eredità che il femminismo ha lasciato a generazioni di donne e di uomini, molti dei quali non del tutto consapevoli del prezzo che tale lascito ha richiesto.
Difficile presentarlo nella sua complessità, quindi iniziamo a conoscere la definizione che ne dà l’Enciclopedia Treccani: “Movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne; in senso più generale, insieme delle teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una collocazione sociale paritaria in quella pubblica”.
Nonostante le sue diverse tappe ed espressioni, l’opinione comune vede nel femminismo il permanere, nei decenni, di alcuni elementi di continuità e di convinzioni ideologiche, tali che è considerato, ancora oggi, un fenomeno radicale e ribelle, fattosi strada attraverso manifestazioni e proteste di piazza. In realtà, il femminismo è stato un movimento che ha combattuto per porre fine allo sfruttamento delle donne e all’oppressione sessista, prefigurando una ridefinizione della politica, dando il via a rivolgimenti profondi, individuali e collettivi.
I percorsi, gli intrecci, le forme diverse assunte dall’azione collettiva, testimoniati dalle voci delle protagoniste, sono stati pubblicati dal “Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia” nel 1985, e rappresentano un patrimonio prezioso, non solo per la storia di una generazione di donne, ma per la lettura del presente.
Anche se influenzato dalle esperienze vissute al di fuori dei propri confini, il femminismo italiano rimane ben radicato nella realtà sociale, politica e culturale della storia del paese, innestandosi in particolare in una tradizione di lotte del movimento operaio, e presentandosi come movimento di liberazione della donna, aspirante a un cambiamento sociale generale e profondo.
Il femminismo italiano inizia sotto la spinta della contestazione studentesca nel ’68, con l’obiettivo di ricostruire una nuova identità femminile liberata dai ruoli tradizionali.
Sulla scia della protesta giovanile e operaia italiana degli anni Sessanta-Settanta, fortemente orientata ad una politicizzazione marxista, il femminismo si trova di fronte a due grandi culture politiche di riferimento, quella marxista e quella democristiana, profondamente restie alla condivisione delle istanze della contestazione. Da qui l’avversione che caratterizza il rapporto delle istituzioni con quello che si definiva il “paese reale”, e con le donne in particolare.
Dopo la prima fase del ’68, durante la quale il privato aveva invaso gli spazi pubblici, occupando piazze e università, in una condivisione collettiva anche di vita quotidiana, le donne cominciano ad affrancarsi dai propri “fratelli” portando la politica (la propria politica) dentro casa. Così dalle grandi aule, dalle piazze e dalle manifestazioni, le donne si trasferiscono nei salotti e nelle cucine delle proprie case, dove cominciano a incontrarsi per discutere tra loro, segnando un’inversione simbolica potente.
In quei piccoli contesti emergono i vissuti e le esperienze di ogni singola donna: la famiglia, il rapporto coi genitori, con l’ambiente, con gli uomini; entrano i primi discorsi su contraccezione, educazione sessuale e controllo delle nascite: in una parola nasce l’autocoscienza.
In Italia l’aborto è ancora un divieto morale insuperabile, ma nel 1953 a Milano nasce l’Aied, Associazione italiana per l’educazione demografica, che nel 1955 apre a Roma il primo consultorio di assistenza contraccettiva.
Nasce così il movimento femminista degli anni Settanta, il femminismo della “differenza” ovvero la separazione dai compagni e dalla politica. Nasce come conseguenza della presa d’atto che in quel momento storico de donne non avrebbero potuto avere voce in capitolo, soprattutto nei grandi contesti delle assemblee. Femminismo della “differenza”, (per approfondimenti: “La separazione femminile” di Lia Cigarini, in “Sottosopra” Blu 1987, risposta alla Carta delle comuniste con la quale si dichiarava di voler fare politica a partire dalla propria differenza sessuale. Il testo è ora in supportato dalla convinzione che l’entrata delle donne nel mondo produttivo e politico maschile avrebbe inibito ogni possibilità di espressione e presa di coscienza, avrebbe impedito ogni possibilità di misurarsi con le dimensioni politiche ed istituzionali e di esprimere “la differenza” all’interno delle strutture di potere.
“Tremate, tremate, le streghe son tornate…”, una vecchia filastrocca per bambini diventata lo slogan che scandisce la battaglia di una generazione, quella del movimento femminista italiano, in particolare durante il periodo tra il 1970, anno in cui esce il “Manifesto di rivolta femminile”, e il 1981, anno in cui dal codice penale escono finalmente due norme sciagurate, il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, che davano grandi attenuanti agli autori di violenze sulle donne.
Sull’altro versante rispetto al pensiero della “differenza” si collocano quei gruppi e collettivi che pensano di poter conciliare identità ed emancipazione, liberazione e diritti, e che ritengono necessario misurarsi con le istituzioni, per ottenere vantaggi e norme giuste per tutte.
Quest’area di attiviste così eterogenea e articolata, in grado di aggregare posizioni assai diverse e influenze partitico-politiche (essenzialmente marxista e radicale, spesso foriere di tensioni e fratture), e di raggiungere una confluenza di intenti, ha permesso di avviare battaglie di grande importanza nel corso degli anni Settanta. In nome dell’autodeterminazione delle donne, si organizzano grandi manifestazioni e si progettano soluzioni su temi quali consultori, aborto, lotta contro la violenza sulle donne. Si costituiscono centri per la salute delle donne e consultori.
In Italia ci sono ancora il matrimonio riparatore, il delitto d’onore, l’autorità del marito. La violenza sessuale è un reato contro la pubblica morale, il divorzio non esiste, si muore di aborto clandestino e la contraccezione è penalmente perseguibile. Le “conseguenze dell’amore” sono tutte a carico delle donne, prigioniere del comune pensare e di leggi anacronistiche, donne consapevoli e pronte a rivendicare il diritto ad una sessualità affrancata dalla riproduzione.
Al centro dell’area laico libertaria è il Movimento Liberazione della Donna (Mld), nato nel 1970, associato al partito radicale, dal quale si allontanerà negli anni seguenti.
Il Mld, che avrà un ruolo centrale nelle grandi battaglie femministe degli anni Settanta, si mobilita per il raggiungimento di una vera “liberazione”, intesa come autodeterminazione sulle scelte riguardanti la vita lavorativa, familiare, politica e sessuale.
Tra la fine del 1973 e l’inizio del 1974 apre a Roma il primo Centro per la salute della donna, che svolgerà un ruolo centrale nella riflessione e nella pratica sui temi dell’autodeterminazione, della salute sessuale e della contraccezione.
Ormai la situazione nel paese sta mutando: nel 1974 la maggioranza della popolazione italiana si pronuncia, attraverso un referendum popolare, in favore del mantenimento della legge che nel 1970 ha introdotto il divorzio, portando a una svolta epocale.
Nel 1976 il Mdl occupa un grande palazzo abbandonato al centro di Roma, che diventerà la prima Casa delle donne, primo e fondamentale modello di autogestione femminista. Esso avvia una serie di iniziative, fra cui il consultorio self –help e apre il primo “Centro contro la violenza sulle donne”, drammatica esperienza vissuta, nel silenzio e nell’impotenza, in famiglia, sul lavoro, nei luoghi pubblici.
Dal Centro parte quindi una proposta di iniziativa popolare contro la violenza dalle donne che vuole cancellare le norme più lesive per la dignità femminile del codice Rocco (il codice penale italiano del 1930, noto come “codice Rocco”, dal nome del Ministro di grazia e giustizia del Governo Mussolini che principalmente ne curò l’estensione), ancora in vigore (all’articolo 1° della proposta è la richiesta che lo stupro sia considerato un reato contro la persona e non contro l’onore).
Segue la nascita di un Comitato promotore che raccoglie le sigle del femminismo più attivo in Italia e che presto darà vita a tante sedi in tutta la penisola. La campagna che ne segue, ha il pregio di coinvolgere tutto il paese in dibattiti intensi e condivisi, prima drammatica presa di coscienza collettiva non solo delle norme penali che ancora regolano il paese, ma anche della reale esperienza di aggressioni e maltrattamenti, fino allo stupro che vivono quotidianamente tante donne. Alla fine della campagna contro la violenza sessuale e lo stupro che si svolge fra il 1979 e il marzo 1980, le firme raccolte sono ben 300.000.
La vasta e capillare sensibilizzazione che ne scaturisce, i mesi di raccolta delle firme, il coinvolgimento dei partiti, vengono considerati la vittoria più significativa da parte delle proponenti, nonostante la proposta venga approvata soltanto nel 1996.
Un’altra grande battaglia vinta, per quelle stesse attiviste, l’organizzazione di una campagna in difesa della legge sull’aborto, conclusasi con successo nel 1981, grazie al voto della popolazione italiana contro la modifica della legge 194/1978 approvata appena 3 anni prima. Fu abolito l’istituto del “matrimonio riparatore” (che estingue il reato di stupro nel caso il violentatore sposi la vittima) e del delitto d’onore (che permette al giudice di comminare pene minime nel caso in cui il delitto sia stato commesso per causa “d’onore”), con una maggioranza schiacciante.
Con queste lotte si chiude la fase delle grandi battaglie femministe di taglio collettivo. Nel 1982 l’Udi, con una decisione assembleare di grande valore politico e simbolico, sceglierà di tagliare i suoi tradizionali rapporti con il Pci per fare proprie le istanze femministe.
Da allora il femminismo si apre ad uno sguardo più aperto, esplorando il terreno di altre lotte, facendo fronte a problemi di identità “intersecanti” che le donne devono affrontare, come la “razza”, la classe sociale, la sessualità, e altre discriminazioni basate sulla “sovrapposizione di diverse identità sociali, non solo quella di genere”.
Diventa allora importante aprire spazi per tutte quelle donne, facenti parte di più di una minoranza, in quanto appartenenti alla classe lavoratrice, migranti, casalinghe, disoccupate, di etnia diversa da quella occidentale.
Ecco così che, tra gli anni 80 e 90, il femminismo, forte di una consapevolezza maggiore delle problematiche della diseguaglianza, costituisce reti di appoggio, consultori e centri antiviolenza, che vengono trasformati in servizi pubblici.
I social network sono l’elemento chiave del più recente femminismo e gli esempi di attivismo digitale sono tantissimi. Il primo è #MeToo, lanciato contro le molestie sessuali negli Stati Uniti nel 2017, seguito a ruota dagli hashtag di altri paesi: in Italia esiste #QuellaVoltaChe, “progetto narrativo estemporaneo per raccontare le volte in cui siamo state molestate, aggredite, ma anche le volte in cui ci siamo sentite in pericolo e non sapevamo bene perché, e ci davamo delle cretine per esserci messe in quella situazione. Perché il patriarcato che non ti crede è lo stesso che cerca di colpevolizzarti per quello che ti infligge”, lanciato da Giulia Blasi (scrittrice, formatrice e fomentatrice a vario titolo). L’utilizzo dell’hashtag doveva avere il compito di coinvolgere anche ragazzi e uomini nella lotta contro la violenza sulle donne.
Grazie alle conquiste del passato le ventenni di oggi possono dirsi fieramente “non femministe”. Si sentono libere ed è un’ottima notizia. “Chi è nato negli anni ‘90 è cresciuto con la certezza di vivere in un mondo in cui le disparità tra uomo e donna erano ormai superate. Poi, un giorno, a una riunione lei diventa ‘signorina’, mentre il collega maschio assume automaticamente il titolo di ‘dottore’. Ma il problema non era risolto?”
Purtroppo i dati continuano a raccontare un’altra storia. In Italia il divario tra generi nei tassi di occupazione è uno dei più alti d’Europa, e i risultati peggiorano se si guarda agli stipendi e alle presenze nei ruoli di vertice. Nel 2020 sono state uccise 112 donne, 119 nel 2021, 120 nel 2022, 57 dal 1° gennaio al 25 giugno del 2023, quasi tutte in famiglia o all’interno di una qualche relazione.
La nostra storia più recente insegna che la strada è ancora lunga e la memoria è necessaria.
Il clima generale di tensione, le crisi, i conflitti e le emergenze globali, come anche il cambiamento climatico, in questi anni hanno ulteriormente intensificato la violenza contro le donne. Anche la digitalizzazione, sempre in rapida espansione, ha portato a un aumento della violenza online contro donne e ragazze, rendendo più facile per chi commette abusi raggiungere gli obiettivi deboli.
Per fortuna a crescere è anche la consapevolezza che qualsiasi tipo di abuso fisico e psicologico sia da condannare. La riduzione su larga scala della violenza contro le donne può essere raggiunta anche facendo rete tra l’attivismo femminista, le forze dell’ordine, la giustizia, la sanità, la finanza e altri settori.
Oggi possono fare la differenza il potenziamento dei servizi per le donne che subiscono violenza, le case rifugio, la consulenza e tutto il supporto di accoglienza e psicologico; la raccolta di dati pertinenti per conoscere al meglio il fenomeno; il potenziamento di meccanismi di protezione più forti per prevenire ed eliminare la violenza, le molestie, le minacce, l’intimidazione, facendo norme ad hoc; il sostegno della leadership delle donne e della rappresentanza nei ruoli decisionali.
I due eventi che vedono ancora le donne protagoniste, “La giornata internazionale della donna – 8 marzo” e “La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro donne – 25 novembre”, non rappresentano soltanto i simboli di un passato di lotte, ma sono opportunità di incontri e di nuove progettazioni, affinché le donne non smettano di difendere i diritti conquistati, oggi forse in pericolo, e di raggiungere traguardi che sembrano ancora lontani.
“Penso alle donne che hanno combattuto per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia per tutti… Quelle che hanno lavorato per assicurare e proteggere il nostro diritto di voto… Io sto sulle loro spalle”
Kamala Harris – Prima vicepresidente donna degli Usa
Fonti
“Che cos’è il femminismo oggi?” articolo di Claire Larkin, Babbel Magazine, 3.3.2023 (https://www.youngwomennetwork.com/)
A voce alta “Storia del movimento femminista” – RAI Cultura
Atlante minimo del femminismo italiano – “L’altra rivoluzione – Dal Sessantotto al femminismo” di Elisa Bellè, Editore Rosenberg & Sellier, 2021, pubblicato su Open Edition Booksil 6.10. 2021
Stralcio del “Seminario di studi momenti e questioni di storia delle donne”, a cura di Beatrice Pisa, per gli studenti del Dipartimento Scienze Politiche Università Sapienza Roma – a.a. 2017-2018
“Breve storia del femminismo – Le quattro ondate, dal diritto di voto all’attivismo social” di Maddalena Cerruti, pubblicato il 31.1.2021 su “Discorsivo -MILLENNIAL AL POTERE”
“Dal movimento femminista al femminismo diffuso. Storie e percorsi a Milano dagli anni Sessanta agli anni Ottanta” – Franco Angeli, Milano 2004.
“Storia del Femminismo in 4 capitoli: dal 1789 ai Social” – articolo di Beatrice Giletta da Electomagazine, pubblicato Storia In Rete, 4.12.2021.
“Lea Melandri: Il femminismo non ha fallito, sta cambiando il mondo” scritto da Letizia Giangualano il 13 .12.2022 – Il Sole 24 ore – Alley Oop -13.12.2022
C’è ancora bisogno di femminismo – Elena Ciccarello direttrice responsabile lavialibera -5 marzo 2021 – lavialibera-pensieri nuovi, parole diverse
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