Occuparsi della cultura digitale dell’anziano è fondamentale per evitare la nascita di nuove povertà all’interno di questa fascia di popolazione. Stiamo parlando, principalmente, di povertà educativa e relazionale, che contribuirebbero, nelle persone più fragili, a un accentuarsi delle situazioni di isolamento.
Con cultura digitale si intende la riflessione che il soggetto fa sul proprio rapporto (usi, norme, valori) coi dispositivi digitali, per incrementare la capacità di gestire e non di essere gestiti dal mezzo, lavorando sulla dimensione critica, etica ed estetica.
Non basta, quindi, saper usare i dispositivi tecnologici, occorre interrogarsi su come questi impattano sui propri e sugli altrui comportamenti (cosa ci spingono a fare); capire cosa si cela dietro lo schermo o l’interfaccia (quali logiche ne guidano lo sviluppo); comprendere qual è il prezzo che paghiamo, come individui e come collettività, per servizi cosiddetti gratuiti (comprendere il valore dei dati); individuare reali opportunità e rischi per agire consapevolmente. Elaborare, quindi, un atteggiamento che porti a un equilibrio tra atteggiamenti di rifiuto a priori (e potremmo dire utopistico vedendo la pervasività del digitale oggi) o entusiasmi semplificatori.
Per raggiungere questo risultato, si parte sempre, e in particolare con l’anziano, nel far individuare la presenza del digitale nel proprio contesto di vita: dove è presente? per cosa viene utilizzato? quali rappresentazioni ne vengono date? chi sono le persone a cui ci si rivolge in caso di dubbi o problemi? Censire con l’anziano i dispositivi usati, comprendere quali funzioni assolvono per lui, ragionare su vantaggi e rischi percepiti, rappresenta un elemento importante per avviare un processo riflessivo costruttivo.
Funzione cognitiva: la tecnologia mi aiuta, grazie ad alcune app, a mantenere il “cervello attivo”, mi permette di evitare un decadimento cognitivo precoce.
Funzione espressiva: attraverso l’uso della tecnologia esprimo me stesso e tengo traccia di me; si pensi, ad esempio, all’uso della fotocamera con cui prima documento l’incontro con i miei cari, poi salvo nel mio archivio e quindi diventa la mia memoria, e poi ancora posso anche decidere di condividerla.
Funzione relazionale: mi permette di rimanere in contatto, attraverso chiamate, video chiamate, messaggi, messaggi vocali, con familiari, amici, alcuni operatori di servizi.
Funzione ludica: la tecnologia come passatempo grazie a video, canali tematici, app musicali. La tecnologia mi fa divertire.
Funzione informativa: grazie al mio device mi informo sul mondo in generale e posso accedere a informazioni che riguardano la mia realtà di anziano, a informazioni specifiche.
Funzione clinica: uso di app che mi permettono di monitorare lo stile di vita e lo stato del mio benessere, ad esempio, tenere sotto controllo la pressione; monitorare quanto movimento ho fatto; farmi da promemoria per ricordarmi alcuni farmaci; gestire la relazione con personale medico, assistenziale e con il farmacista.
Funzione “di cittadinanza”: mi consente di partecipazione alla vita pubblica, si pensi ai consigli comunali online; ai forum in cui esprimere la propria opinione; alle cause a cui aderire; alla partecipazione a gruppi politici, religiosi, associativi.
Questa breve disanima delle funzioni della tecnologia mette in luce gli aspetti positivi. Esiste, però, anche il rovescio della medaglia: i “rischi”.
Solo per fare alcuni esempi, la funzione ludica può incorrere in forme di dipendenza da gioco, se i giochi che scelgo non sono “sani” (pensiamo alle ludopatie e a ciò che comportano in termini di problemi economici o di isolamento relazionale).
La funzione informativa porta con sé la fatica di gestire il diluvio informativo che con il digitale si è generato: sovrabbondanza di informazioni, fake news e disinformazione.
La funzione relazionale include anche tutti i problemi di gestione delle relazioni digitali: le forme di odio online, di prevaricazione digitale, di furto di identità o mascheramento della stessa.
Diventa quindi fondamentale accompagnare l’anziano, così come dovremmo accompagnare bambini, adolescenti, giovani e adulti, in percorsi che aumentano la cultura digitale proprio per abbassare i rischi e aumentare i vantaggi.
Dall’esperienza raccolta, con la partecipazione ai progetti WelComeTech e CyberScuola per Nonni, sono emersi alcuni dati interessanti sul rapporto tra anziani e tecnologia, ma anche sull’importanza di ritornare a scambi intergenerazionali attorno al tema.
Per gli anziani il rapporto con la tecnologia è una questione legata al controllo: da una parte temono di non saperla controllare, dall’altra hanno paura di essere da lei controllati.
Nel caso di WelComeTech, la sperimentazione ha introdotto un insieme di sensori per il tele-monitoraggio a domicilio della vita dell’anziano. In alcuni casi, alcuni partecipanti hanno rifiutato, preferendo il ricovero in struttura, proprio per “paura della tecnologia”; in altri casi l’hanno accettata solo perché aiutava e tranquillizzava i propri cari. Dalle interviste raccolte dopo il progetto, è emersa l’importanza per la persona anziana di “non pesare”, di non far preoccupare i figli lontani o impegnati. E allora ben venga la tecnologia, se permette di mantenere più a lungo uno stile di vita, a propria dimensione, presso la propria casa, anche quando l’autonomia inizia a essere compressa, specie in una società, come la nostra, in cui le famiglie e la comunità intera sono spinte ad avere tempi sempre più ridotti da dedicare a bambini, giovani e anziani. Una possibile strada per una società più umana è ridurre i rischi attraverso sistemi di monitoraggio, ma ripristinare la comunità e la rete relazionale, consentendo una migliore organizzazione e comunicazione all’interno della stessa.
Ecco che la figura del tutor di comunità, che si occupa non solo di addomesticamento della tecnologia, ma soprattutto di fare da ponte tra anziano e famiglia, tra anziano, paese e territorio in cui abita, prova a ritessere la comunità, e la tecnologia diventa un dispositivo che supporta e rilancia i legami relazionali.
WelComTech è un progetto Interreg che ha coinvolto i territori del Verbano-Cusio-Ossola, della Valle d’Aosta e del Canton Ticino; nato dal progressivo invecchiamento della popolazione nei territori transfrontalieri, ha avuto come obiettivo quello di permettere alla popolazione anziana di continuare a vivere nel proprio ambiente domestico, evitando il più possibile il ricovero in struttura.
A supporto dell’anziano vulnerabile sono stati sviluppati e installati sistemi di tele-monitoraggio a domicilio e sono stati attivati processi di alfabetizzazione digitale della popolazione della terza età, in una prospettiva di sviluppo della socializzazione e mantenimento delle relazioni.
Grazie al progetto, si abbandona l’idea di una tecnologia strumentale che sostituisce il ruolo dell’operatore ma ci si orienta verso una tecnologia come occasione per ri-creare legami, proprio grazie al ruolo centrale del tutor di Comunità che è formato per concentrare la sua attenzione non solo sulla funzionalità dello strumento ma ha l’obiettivo di attivare e ri-creare legami tra reti familiari e vicinato territoriale.
Nel progetto CyberScuola per Nonni abbiamo, invece, lavorato sulla formazione dei ragazzi delle scuole superiori, affinché accompagnassero un anziano da loro scelto o affidato (un nonno o un vicino di casa anziano) nell’esplorazione tecnologica e nello sviluppo della competenza digitale. Cosa è risultato importante, in questo progetto?
Sicuramente l’attivazione o il potenziamento delle relazioni: spendere tempo insieme discutendo di tecnologia. In questa interazione ciascuno è stato spinto a riflettere sui propri usi digitali e su come tali usi sono connessi alle diverse fasi di vita, ad accogliere fragilità reciproche provando a sostenerle. I ragazzi, oltre a una riflessione sulla pazienza e sul mettersi nei panni dei nonni, prendendo coscienza dei bisogni cui la tecnologia poteva andare loro incontro, hanno prodotto semplici tutorial digitali o cartacei, messaggi di supporto whatsapp, glossari per sostenere la memorizzazione, semplificare gli accessi e sostenere le pratiche dei nonni. Nel confronto con l’altro, hanno avviato riflessioni sui propri usi e comportamenti digitali.
Imparare a farsi carico dell’altro e valorizzarlo, sentire che qualcuno si affidava a loro, inoltre, li ha fatti sentire competenti, ricevendo in cambio la scoperta del valore della testimonianza e della saggezza dell’anziano. Dal canto loro gli anziani, grazie al dialogo, alle domande, ai dubbi portati, al provare a capire il mondo giovanile, sono stati spinti a riflettere e argomentare le pratiche digitali. Sono diventati reciprocamente warm expert, più efficaci ai fini dell’apprendimento, rispetto a corsi formativi nel senso classico del termine.
Il progetto Cyber Scuola per Nonni, realizzato in collaborazione con la Fondazione Golgi Cenci, nasce per avvicinare gli anziani alle nuove tecnologie, creando ponti tra generazioni. Durante l’anno scolastico la dottoressa Elena Rolandi , psicologa, esperta di invecchiamento, ha tenuto un corso per formare e accompagnare quattro classi del Liceo delle Scienze Umane dell’Istituto d’Istruzione Superiore (IIS) Bachelet di Abbiategrasso per diventare tutor digitali dei propri “nonni”. Sono stati poi gli studenti a trasmettere ai propri nonni tutte le conoscenze necessarie all’uso degli strumenti digitali, diventando così protagonisti, partecipi e responsabili di un processo di inclusione sociale. Un percorso educativo non solo per i nonni, ma anche per i ragazzi, che sono stati formati sulle competenze relazionali, comunicative e pedagogiche per il loro ruolo di warm expert. Il progetto ha previsto anche la donazione di tablet a tutti quei nonni che non possedevano alcuno strumento digitale in modo da avvicinare alla tecnologia anche i più̀ resistenti.
Quando parliamo di tecnologia di comunità, come ci aiuta a inquadrarle il professor Pier Cesare Rivoltella, recuperiamo un’idea controintuitiva di un digitale che può essere un “tessuto connettivo” in grado di ripristinare la dimensione comunitaria.
Pensando al digitale, ciascuno di noi deve dunque chiedersi: sto delegando la risoluzione di qualche bisogno, sto lasciandomi addomesticare, abdicando al pensiero critico?
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