Il Consorzio dei Servizi Sociali del Verbano ha attivato un percorso partecipato di coprogrammazione sul tema dell’autonomia e dell’indipendenza delle persone fragili. L’idea è quella di arrivare insieme, con l’intero territorio, a costruire una strategia condivisa, figlia delle necessità reali, per dare risposte ai diversi temi della fragilità. A tale proposito, alla fine del 2023 ha organizzato alcuni tavoli di confronto sui seguenti ambiti: senza fissa dimora, persone con background migratorio, persone con disabilità, care leavers e giovani adulti, anziani fragili e anziani attivi, violenza di genere.
Ne abbiamo parlato con Giulia Rodari e Matilde Zanni, progettiste sociali del CSSV, il consorzio che, dal 2022, ha istituito al proprio interno un ufficio con competenze specifiche.
Il percorso è iniziato a settembre del 2022, con il lavoro svolto dal Consorzio per la ideazione e attuazione di una Strategia Integrata di Contrasto alle povertà (alimentare, di cura, educativa, etc.), con cui l’ente mirava a creare una relazione strategica, con altri attori pubblici e privati del territorio, per definire linee guida rispetto alle azioni di coprogrammazione e coprogettazione del futuro.
Cosa significa e a cosa serve fare una strategia integrata?
Fare strategia significa cercare di creare partecipativamente, con quanti operano sul territorio, quadri di riferimento da utilizzare da parte di tutti per condividere e raggiungere gli obiettivi. Mettere, cioè, a sistema risorse e attività, muoversi nella stessa direzione, migliorare i processi, aumentare la possibilità di raggiungere i risultati. In questo primo caso è stato un lavoro più interno al Consorzio, che ha interpretato il sistema di contrasto alla povertà a livello locale, mappando attori, obiettivi, ambiti in cui si lavorava già sul territorio, e, sulla base del documento condiviso e approvato a settembre 2022, si sono andate poi a incasellare una serie di azioni operative, in corso o da attivare, che vanno a rispondere a quegli obiettivi, in una logica di sistema. Ogni progetto è sostenuto da un bando ed è portato avanti da una rete di soggetti pubblici e privati del territorio.
Dall’esperienza sul tema del Contrasto alle povertà è nato il bisogno di costruire una nuova strategia condivisa, di cosa si tratta?
Il CdA del CSSV ha successivamente dato mandato per costruire una seconda strategia in supporto all’autonomia e all’indipendenza delle persone più fragili. L’idea però, questa volta, è quella di crearla attraverso un percorso partecipato di coprogrammazione che ci permetterà, ascoltati tutti gli interlocutori, di lavorare su una coprogettazione specifica per singoli progetti, su singoli bandi.
Ovviamente ci sono già alcune attività avviate ma la costruzione della strategia è in corso e confidiamo di presentarla ai partner prima dell’estate.
Come vi siete mossi per coinvolgere le realtà presenti sul territorio?
Tra il 5 e il 19 dicembre dello scorso anno, abbiamo organizzato dei tavoli di lavoro per mettere a fattore comune, idee, potenziali progetti e necessità. Abbiamo fatto una call aperta a tutti gli enti del terzo settore, ai comuni aderenti al Consorzio dei Servizi Sociali, all’Asl e ai Sindacati a seconda dei temi. Abbiamo dedicato circa 3 ore ad ogni tavolo: sei sono stati dedicati a chi lavora sul tema; sette sono stati riservati ai beneficiari. I tavoli sono stati condotti da Giulia Rodari, da Matilde Zanni e da una terza persona esperta dell’argomento trattato, ogni volta diversa.
Quale è stata la metodologia utilizzata per raccogliere idee, necessità, suggerimenti?
Abbiamo lavorato prevalentemente in gruppo, ad eccezione delle donne vittime di violenza che invece sono state ascoltate singolarmente vista la delicatezza dei casi.
Con gli operatori coinvolti abbiamo agito con la metodologia del world cafè. L’incontro, cioè si è articolato su tre domande fisse:
È stato interessante coinvolgere le associazioni su quello che era il loro specifico beneficiario, coprire tutte le tematiche e comprendere che parte possono avere quegli enti in futuro in una coprogrammazione.
Diverso approccio invece è stato dedicato ai destinatari dei progetti. Come vi siete interfacciati con i diversi target?
Per quel che riguarda i beneficiari ci siamo mosse in direzioni diverse a seconda della risposta degli interlocutori e della fragilità affrontata.
Tavolo senza fissa dimora
Avevamo ipotizzato di lavorare sul concetto di ricostruzione della rete, utilizzando un’attività interattiva e cioè passandoci un gomitolo di filo rosso, a simboleggiare la connessione tra le storie di vita. Ma visto il numero esiguo dei partecipanti, che sono stati solo tre, abbiamo trasformato l’incontro in una chiacchierata informale. È particolarmente difficile dichiarare apertamente di essere “senza fissa dimora” anche perché, spesso la situazione si intreccia ad altre criticità: violenza, abusi, detenzione. Il tavolo si è comunque trasformato in una condivisione aperta e libera, dove le persone presenti sono state molto dirette e comprensive tra loro. È emerso fortemente il tema dell’assenza della rete, di una comunità di sostegno: intesa come famiglia di sangue, ma anche rete amicale, o comunità religiosa, o comunità nazionale.
Tavolo persone con background migratorio
Il tavolo dedicato alle persone con background migratorio è stato molto ricco e attivante. C’erano persone da ogni continente e c’è stata molta condivisione. Con loro abbiamo lavorato in modalità world cafè, quindi con domande che permettessero una mappatura della situazione attuale e di quella desiderata, e che ci facesse comprendere la fragilità maggiore del contesto, ma anche come lavorare su un “cambio di narrazione”. Un processo, questo, che abbiamo già attivato con un gruppo di donne della comunità dei migranti, ogni 15 giorni a Spazio Sant’Anna, e che ci ha messo di fronte alle dinamiche di razzializzazione che tutti attiviamo: c’è sempre qualcuno nato più a sud o più a est.
Ci ha fatto piacere vedere che molti dei bisogni emersi e delle risposte attese, fanno parte di “Territori Inclusivi”, un progetto già in essere e in fase di attivazione: per esempio l’apertura di uno sportello di accoglienza legale per i migranti che possa dare informazioni univoche sui vari temi della migrazione. Ci ha fatto piacere che la nostra lettura del tema sia stata coerente con le necessità effettive delle persone, cosa che non va mai data per scontata.
Tavolo care leavers
Con care leavers si intendono giovani adulti – tra i 18 e i 21 anni – in transizione dall’assistenza (residenziale) all’età adulta, cioè tutti quei giovani in protezione e tutela pubblica che, una volta maggiorenni, perdono il diritto di essere protetti e supportati e sono obbligati a una rapida adultità, indipendentemente dalla situazione emotiva e dagli obiettivi raggiunti.
Attualmente i care leavers sono al centro di direttive nazionali e regionali. Sul territorio abbiamo contesti come il Kantiere, Associazione 21 marzo, Officine Giovani, che fanno scuola in tema di giovani e già allargano il target ad altre età giovani (18-35), anche se i bisogni sono molto diversificati.
Con questo gruppo ci siamo ispirate al metodo del photolangage, attraverso carte/ fotografie da noi create abbiamo invitato i ragazzi a prendere spunto dall’immagine, indagando emotivamente quella che li faceva stare al 100% e quella che invece gli muoveva delle brutte sensazioni. Su questi stimoli visivi tutti hanno raccontato episodi del proprio vissuto e si sono aperti molto. A conclusione di questa prima parte, che ha esplorato maggiormente la dimensione emotiva, abbiamo affrontato argomenti più pragmatici a risposta della domanda: cosa manca sul territorio?
Quello che ci ha maggiormente sorpreso è stato lo scollamento tra le risposte emotive e quelle razionali. Per fare un esempio, se mi dici che: senti che la tua identità non è accolta? Che ti guardi allo specchio e ti fai schifo? Può sembrare strano che l’esigenza fattiva che emerge sia “manca un posto dove ballare a Verbania”. È stato curioso vedere questa distonia, ma bisogna ammettere che è difficile avere contezza di quale sia la risposta più giusta ai propri bisogni. Un tema molto caldo è, invece, quello del lavoro sia come scelta di realizzazione sia come “ricatto sociale”, che ci vuole necessariamente attivi, performanti e inseriti nel sistema capitalistico.
Tavolo anzianità
Con gli anziani attivi e con gli anziani fragili, rappresentati dai loro caregiver, l’incontro si è concretizzato in due chiacchierate informali, distinte, durante le quali abbiamo condiviso le sollecitazioni già avute dalle associazioni e abbiamo chiesto ai partecipanti di validarle, aggiungendo parole chiave o informazioni che, secondo loro, potevano essere utili. È emerso tantissimo il bisogno di parlare tra pari, l’importanza del confronto tra i reciproci bisogni e i reciproci vissuti.
Tavolo persone con disabilità
Anche a questo tavolo ci siamo basati su alcune proposte già emerse dagli operatori. Erano presenti famigliari di persone con disabilità e persone diventate disabili, nel corso della vita, a causa di incidenti.
È stato un gruppo che si è confrontato per oltre 3 ore; hanno condiviso in maniera molto accorata le loro fatiche. Anche in questo caso ci siamo resi conto come il bisogno reale si scollasse dalla parte emotiva, in particolare tra i caregivers. Per fare un esempio: è emerso tantissimo l’isolamento in cui le famiglie delle persone con disabilità vivono, ma se proponevamo, come risposta alla loro fatica, la creazione di un gruppo di supporto per i caregiver, ci dicevano che non ne avevano bisogno, perché la loro vita era già abbastanza complessa anche senza questo ulteriore impegno.
Su questo punto si apre un grande tema: la società ci ha un po’ incastrato nei nostri nuclei familiari, al punto che non sappiamo chiedere aiuto. Forse le nuove generazioni stanno cambiando un po’ il paradigma, attraverso la costruzione della famiglia scelta, cioè di una famiglia che esce dai legami di sangue.
Tavolo violenza di genere
Con le donne vittime di violenza abbiamo condotto degli incontri individuali. Chiacchierate informali che sono durate tempi variabili, anche tre ore con una sola persona. Ci siamo resi conto di quanto poco venga ascoltata e validata la loro storia e di quanto bisogno abbiano di condividerla. Dai loro racconti è emerso come le istituzioni, coinvolte nell’iter di denuncia, si aspettino di avere sempre davanti l’identikit della vittima perfetta che sa denunciare, che conosce gli orari e i giorni della violenza, ma al contrario le donne evidenziano che, quando vivi una situazione del genere, sei in un frullatore e non sempre sei consapevole di ciò che ti accade.
Servono persone che sappiano aiutare la vittima nella lettura dei documenti, nell’accompagnamento emotivo al momento, nella possibilità di prendersi tempo, di non avere fretta, di prendere consapevolezza di quello che sta accadendo. È emerso fortissimo il bisogno di entrare nelle scuole, per accompagnare i ragazzi ad avere delle relazioni affettive e sessuali sane, indipendentemente dal genere.
E adesso come procederà il Consorzio?
L’obiettivo di questi tavoli è stato quello di avere una lettura reale.
Stiamo sperimentando in prima persona che il Consorzio dei Servizi Sociali è molto propenso a farsi plasmare dal territorio e dai bisogni più autentici, senza la pretesa di avere risposte “ufficiali”, consapevole che ci sono tante realtà che fanno azioni di prossimità con le persone fragili e che abbia assolutamente senso sapersi ascoltare e condividere le esperienze.
Tutto quello che abbiamo raccolto, con l’aggiunta e l’analisi di dati statistici, con una valutazione delle priorità, con un’indagine sugli obiettivi di erogazione delle Fondazioni, andrà a comporre una strategia generale dove ogni intervento sarà collegato e farà parte di una riflessione molto più ampia, con l’idea di portare avanti una strada pluriennale. Non più solo sperimentazione, che resterà parte integrante di ogni progetto, ma costruzione di risposte alla comunità in un’ottica di continuità.
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