Magazine Alternativa A Numero 2
Anno 2024
L'arte di legare le persone di Paolo Milone
17 Giugno 2024

Scegliere di non scrivere un romanzo né un saggio intorno ad una tematica sensibile e complessa quale la malattia mentale, ma di fare un diario di viaggio, cogliendo e raccogliendo frammenti di varie umanità, è stato per l’autore un atto premiante. 

Così Paolo Milone, psichiatra in un Centro di salute mentale prima e successivamente in un reparto psichiatrico ospedaliero, ha ritratto in questo libro i suoi quarant’anni “di vita e di psichiatria”.

Lo ha fatto attraverso i molti scatti virtuali a infermieri, medici, pazienti, passanti, conoscenti, ognuno dei quali situato, in virtù di chissà quale destino, da una parte e dall’altra del confine invisibile che separa i sani dai malati.

Un libro che sembra un diario, scritto giorno dopo giorno, annotando ciò che è stato vissuto per non dimenticare. In esso compaiono, come tante tessere di un puzzle, ritratti di pazienti euforici, ubriachi, tossicomani, schizofrenici, depressi, nevrotici, ansiosi e isterici, che rappresentano sé stessi con modalità differenti, a volte così estreme che per difendersi c’è bisogno di attrezzarsi.

Istantanee di un reparto che vive di urla e di silenzi, di lenzuola fruscianti, passi notturni, porte e finestre aperte e chiuse, sedie spostate, caffettiere sul fuoco, un reparto dove cose importanti sono le siringhe e le chiavi, strumenti per contrastare i pericoli e la follia.

Della psichiatria l’autore ci svela infatti che, oltre a essere una disciplina di onestà, responsabilità e affidabilità, è anche “mestieraccio”, l’equivalente dello “sporcarsi le mani”, quando la paura e la necessità di decisioni repentine lo richiedono. Perché i medici non sono eroi, ma uomini e donne esposti al male, alle passioni, alla fragilità, perché, in quel Reparto 77, il mistero della malattia si scontra quotidianamente con la vita di chi cura.

Nella vita del reparto coesistono l’aspirazione alla solidarietà, alla tolleranza, il desiderio di prendersi e di lasciarsi, la furia dei malati, la compassione e la rabbia dei medici, gli amori impossibili e, nel più nascosto degli angoli, la morte in agguato.

E fuori, la Genova più sconosciuta, quella che, svuotatasi nel mese di agosto, si popola di persone che, per troppo tempo, sono state al buio delle proprie case. Si aprono allora vecchie persiane e porte per lasciar uscire bizzarri individui, vestiti nei modi più stravaganti, che finalmente respirano aria di mare, parlando da soli o con i gatti. “È un’esplosione, come quella delle lumache dopo la pioggia. La città è loro. Padroni per un giorno. Io, scorrazzando in Vespa, mi accorgo che ne conosco pochi. La città è piena di persone che non esistono”. Persone che, come lumache emerse dopo la pioggia, in pochi giorni rientrano nei buchi. Invisibili perché perennemente chiuse nella propria stanza, tra la sporcizia e gli odori del proprio corpo, nella casa dei vecchi genitori, che spesso picchiano. E quando si cerca di “stanarne” uno, magari perché i genitori stanno morendo, è come cacciare un animale! Storie maledette che richiedono atti maledetti, come un Tso (Trattamento sanitario obbligatorio), un modo per strappare dal suo mondo una persona atterrita e gettarla in un altrove lontano da tutti i suoi punti di riferimento…

Lo sguardo dello scrittore che davanti a questo pianeta di diversità sa essere ironico, dissacrante e meravigliato, si posa, spesso emozionato, su donne e uomini che compaiono e scompaiono, come Lucrezia, Chiara, Filippo, seminando ferite profonde nel suo cuore.

Le dinamiche dei suicidi, di suicidi mancati e di quelli completati sono i misteri del capitolo “La Signora”, misteri che generano solo domande e sensi di colpa. Quando arriva la morte in ospedale “non procede rasente i muri, fa i suoi giri con passo sicuro […] è un randagio che fruga ai tuoi piedi, se non la cacci ti azzanna; una volta che ti ha fiutato, non ti molla più”.

Eppure, nonostante la singolarità del libro, nonostante il suo sottofondo lirico e la buona accoglienza di lettori e critica, sin dalle prime pagine mi è parso avvolto da un’ombra. E come se fossi entrata in un altro contesto, ripercorrendo a ritroso la lettura, ho riconosciuto una narrazione spezzata, amara e quasi disturbante.

Mi sono sentita disorientata e piena di domande: Che significato ha il titolo, che verso il finale si dispiega nel capitolo “Legare le persone”, e perché la contenzione si identifica con un’arte in molte delle sue accezioni, compresa quella che non vorresti leggere? 

“L’arte di legare le persone.
Legare le persone al letto.
Legare le persone a te.
Legare le persone alla realtà.
Legare le persone a se stesse.
Legare le persone è un’arte.
Inconoscibile.”

Perché un elogio della contenzione? Evidentemente perché ha senso per l’autore, in quanto, più di mille tentativi di convincimento, è uno strumento efficace che consente “alla mente di schiarirsi, alla follia di dileguarsi, alla pioggia di cessare e al sole di spuntare …”. Perché per il paziente psichiatrico in crisi, il concetto prioritario è esistere o non esistere, dove l’esistere significa il ricomporsi nell’unità dei suoi frammenti spezzati. Perché il male che si vuole combattere non è il dolore o la paura, non la perdita della vita, ma la perdita di sé stessi, perché la parola, in Psichiatria, è impotente.

E ancora perché, nel giustificare certe pratiche, l’autore dimentica di condividere le tappe fondamentali nella medicina psichiatrica, la rivoluzione di Basaglia, basata sul rispetto dei diritti umani e sull’importanza del contesto sociale, sull’abolizione dell’ospedalizzazione coatta e sull’introduzione di nuovi principi per la cura e l’inclusione sociale dei pazienti psichiatrici?

Perché nell’attribuire il merito della riforma psichiatrica ai farmaci, alle rivendicazioni sindacali e politiche e non certo alla pietà e alla buona volontà dei medici, omette di citare che cosa ha colmato i vuoti lasciati dall’abolizione dei manicomi, cioè l’avvento di una psichiatria che sapesse connettere paziente e medico tramite l’eccezionale arma dell’ascolto gentile, secondo la definizione di Eugenio Borgna, che ha dato il titolo ad un suo libro (L’ascolto gentile. Racconti clinici di Eugenio Borgna, Einaudi, 2017)

Ho trovato le risposte nella lettura di una straordinaria recensione del libro, richiesta dallo stesso Paolo Milone a un suo collega psichiatra, Paolo F. Peloso. All’interno di un testo molto articolato e argomentato, Peloso intuisce che una sostanziale ambiguità attraversa la narrazione, quasi che il protagonista-narratore, sul quale ricade la responsabilità dei contenuti, non coincida con l’autore. Ovvero il libro è un’opera letteraria e non un saggio.

Per non fermarsi a questa semplicistica giustificazione, suggerisco di approfondire l’argomento leggendo l’articolo completo Se legare le Persone è un’arte: recensione in forma di lettera a Paolo Milone di Paolo F. Peloso 6 febbraio 2021, in “PENSIERI SPARSI – “Tra psichiatria, impegno civile e suggestioni culturali”

Paolo Milone, psichiatra, è nato a Genova nel 1954. Ha lavorato in un Centro Salute Mentale e poi in un reparto ospedaliero di Psichiatria d’urgenza. Per Einaudi ha pubblicato L’arte di legare le persone (2021 e 2022) e Astenersi principianti (2023).

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