Dibe Tirabone è partito il 12 maggio del 2015 da Makuno, Costa d’Avorio.
«Se vuoi avere una vita – gli aveva detto poco prima della partenza un anziano saggio del suo paese – devi cambiare vita».
E così è stato! Orfano di entrambi i genitori, Dibe ha lasciato la sua casa, il suo lavoro di operaio cantoniere e si è messo in viaggio. Destinazione sconosciuta!
Oggi è l’addetto all’officina meccanica della Cooperativa Sociale Risorse e la sua vita è in Italia.
Un viaggio di due anni, il suo, dalla Costa d’Avorio, al Mali, dall’Algeria alla Libia, sino a quel gommone che lo ha portato in Italia.
«Sono partito dal mio paese con pochissimi soldi. Sulla strada verso il Mali ho incontrato un camionista che mi ha dato un passaggio, facendomi passare per il suo meccanico. È sempre meglio, sulle strade del deserto, essere almeno in due. Con lui sono arrivato fino a Bamako, la capitale maliana, dove sono riuscito a trovare lavoro in un cantiere, vista la mia abilità alla guida dell’escavatore.
Purtroppo, però, mi pagavano pochissimo e il lavoro non era regolare. Non c’era possibilità di fare una vita decorosa e mi sono rimesso in viaggio verso la città di Gao, a circa 1.200 chilometri ad est della capitale. Ho preso un pullman che faceva quella tratta, ma eravamo continuamente fermi per guasti, ci abbiamo impiegato più di una settimana e io ho dovuto mettere più di una volta le mani nel motore per riuscire a proseguire.
Arrivo a Gao completamente senza denaro. Una signora mi propone di venderle il mio anello d’argento, ma è un ricordo di mia madre e non voglio separarmene. Allora le propongo di lavorare per lei. Io so fare qualsiasi lavoro, le ho detto. Lei mi presenta suo figlio che si occupa di giardini e che mi fa riparare due dei suoi mezzi. Lavoro per lui come meccanico per un mese, mi paga e mi presenta suo cugino che con i camion fa attraversare il deserto».
Inizia così il tuo viaggio verso l’Algeria, lungo la famosa rotta subsahariana? Come è andato l’attraversamento del deserto?
Sul camion siamo in 42. Dopo un’ora di viaggio troviamo il primo posto di blocco. Ci chiedono 30 euro a testa. Io non li ho, ma l’autista dice che lavoro con lui. Ci frustano, ma ci lasciano ripartire.
Dopo quattro ore un secondo posto di blocco ci chiede 50 euro. Ci abbiamo messo 9 giorni a fare 800 chilometri ed arrivare a Timiaouine in Algeria. Da lì mi sono spostato a Bordj Badji Mokhtar, pagando con il mio vecchio Motorola e poi ancora da lì a Tamanrasset, una città più grande. Ho vissuto e dormito in strada per una settimana, prima di trovare lavoro come idraulico / meccanico in una ditta di asfalto. Dopo un anno di lavoro, con qualche risparmio a disposizione, ho deciso di andare in Libia. Dopo aver fatto il deserto senz’acqua e non aver mangiato per giorni, mi dico, non ho paura di niente.
Ma l’arrivo di Dibe in Libia è stato peggio della fame e della sete…
Appena arrivato mi hanno rubato tutto. Ho fatto prigione, prigione, prigione. Ho lavorato in un autolavaggio come clandestino per riuscire a raccogliere un po’ di soldi per prendere un gommone e scappare. Ci ho provato due volte. La prima mi hanno truffato, hanno preso i soldi ma non mi hanno imbarcato, invece la seconda sono riuscito a partire.
Siamo partiti alle 4 del mattino dalla Libia e alle 17 siamo arrivati in acque italiane e la guardia costiera ci ha recuperato. Eravamo 110. Ci hanno sbarcato ad Augusta in Sicilia e lì è iniziato il mio sogno.
Da Augusta a Verbania come è andata?
Mi hanno trasferito in pochi giorni a Torino e poi a Orta San Giulio; la settimana dopo sono andato a scuola e ho frequentato per più di un anno. Il mio grande desiderio era però iniziare a lavorare. Senza documenti e senza lavoro, mi dicevo, come faccio a iniziare la mia vita? Fortunatamente ho conosciuto una persona che mi ha messo in contatto con Risorse e così ho cominciato a lavorare in Cooperativa e a costruire il mio sogno.
Come ti immagini il tuo futuro?
Sono arrivato in Italia che non avevo niente, solo i vestiti che indossavo. La Cooperativa mi ha dato tutto. Oggi faccio il lavoro che mi piace, sono andato a scuola e so finalmente scrivere, in italiano; ho preso la patente, ho un’auto, una casa, mi sono fatto degli amici. Vivo da solo e sono tranquillo. Devo dire grazie alla cooperativa per la fiducia che ha riposto in me.
E ora faccio anche boxe, che era il mio sogno di bambino, quando guardavo Muhammad Alì e Mike Tyson e mi chiedevo come avessero fatto ad arrivare fino a lì. E così, quando ho potuto permettermelo, ho cercato un centro che mi allenasse. Adesso gareggio come peso medio, mi piace molto e vinco anche.
La boxe mi ha insegnato una vita diversa, oggi ho davvero una visione del futuro.
La storia di Dibe è raccontata nel documentario Migrazioni di Lorenzo Camocardi prodotto da Cooperativa Sociale Risorse. Sceneggiatura e interviste Cristina Barberis Negra
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