Raccontare e raccontarsi. Ascoltare e ascoltarsi. Dagli albori della sua storia, l’essere umano ha sempre sentito la necessità di trasmettere agli altri qualcosa di sé, un pensiero, un punto di vista, una visione delle cose, per ricercare un confronto, per ottenere sostegno o comprensione, per lasciare una traccia del suo passaggio, per alimentare la memoria, per sfuggire alla morte. Raccontarsi è comunicare, è interagire, è stabilire dei vincoli, è cercare ed offrire delle risposte alle incertezze, è sopravvivere alla fugacità della nostra condizione; in ultima analisi potremmo dire che raccontarsi è vivere, con l’Altro e per l’Altro.
Non vi è nessun essere umano che non abbia in sé qualcosa da raccontare o da condividere, perché non vi è nessun essere umano che sia la copia esatta dell’altro; ognuno di noi è unico nella sua esperienza di vita e nel suo sistema di convinzioni, di pensieri e di emozioni, e nella sua unicità offre a tutti gli altri qualcosa di irripetibile, costituito dal suo proprio vissuto e dal modo in cui al suo vissuto si rapporta.
Tuttavia, l’esigenza di raccontare o di raccontarsi trova la sua completa realizzazione solo se è accompagnata da una adeguata ricezione del racconto, ovvero dall’ascolto da parte dell’altro. Anch’esso dimensione fondamentale dell’interazione umana, l’ascolto implica disponibilità, apertura, interesse, preoccupazione per l’altro e per le sue vicissitudini di vita.
Il racconto di malattia, o in senso lato l’anamnesi o la storia della malattia stessa, non si sottrae a questo modello comunicativo ed anche nella relazione medico-paziente e nella raccolta di quelle informazioni che costituiscono il quadro clinico della persona ammalata, si confrontano una figura (il paziente) che racconta ciò che gli sta accadendo ed una seconda figura (il medico) che ascolta il racconto e interpreta le informazioni in esso contenute per ricavarne delle conclusioni o prendere delle decisioni per aiutare chi in quel momento ha bisogno.
L’intuizione della Medicina Narrativa consiste nell’interpretare le storie dei pazienti da una prospettiva nuova, che va oltre il mero dato biologico o fisiopatologico, oltre l’intervista clinica intesa come la raccolta di un insieme di sintomi dalla cui combinazione scaturisce, quasi aritmeticamente, una diagnosi e quindi una terapia. La Medicina Narrativa è la disciplina che applica le competenze utilizzate nell’analisi della letteratura al resoconto dei pazienti ed alla storia clinica. Si configura come una zona di transizione oppure di fusione tra la medicina e le discipline umanistiche ed un metodo mediante cui le discipline umanistiche entrano nella medicina e operano una ridefinizione dell’atto medico in un’ottica umanizzatrice, nella quale al centro dell’attenzione medica non vi è più l’organo malato o il processo fisiopatologico inceppato ma l’essere umano nella sua globalità. Non fotografia istantanea di un organo ammalato, ma una storia di vita che si snoda nel tempo con tutto il suo bagaglio di esperienze e vicissitudini e sfocia nella malattia del momento presente e su di essa influisce, determinandone l’impatto, l’evoluzione e la storia futura. La premessa della Medicina Narrativa è che il modo in cui un paziente parla della sua malattia o del suo disturbo è analogo a come la letteratura offre una trama (una serie di eventi interconnessi) con dei personaggi (il paziente e gli altri) ed è piena di metafore (pittoresco, emotivo, e modi di parlare simbolici), e che acquisire dimestichezza con gli elementi della letteratura facilita la comprensione delle storie portate dai pazienti. La Medicina Narrativa è un approccio diagnostico completo che utilizza le narrazioni dei pazienti sia nella pratica clinica, sia nella ricerca sia nella formazione per promuovere la guarigione. Al di là del raggiungimento di diagnosi accurate, la Medicina Narrativa mira ad affrontare le dimensioni relazionali e psicologiche che si verificano insieme alla malattia fisica e che sono assolutamente proprie e specifiche di ogni individuo e che risentono della sua unicità intellettuale, emotiva, spirituale, culturale.
Nel 1910, la Carnegie Foundation for the Advancement of Teaching redasse il Rapporto Flexner, che si proponeva di ridefinire le pratiche educative mediche. Il rapporto sosteneva che l’obiettivo della medicina consiste in “un tentativo di combattere la battaglia contro la malattia nel modo più vantaggioso per il paziente”. Flexner scrisse che “il professionista medico tratta materiale di due tipi: da un lato la chimica, la fisica, la biologia gli permettono di comprenderne il problema organico, l’ingranaggio rotto; d’altra parte, il medico ha bisogno di un diverso apparato appercettivo e apprezzativo per trattare altri elementi più sottili. La preparazione specifica in quest’ultima direzione è molto più difficile in quanto richiede lo sviluppo di abilità intuitive ed empatiche su scenari culturali sempre più diversificati ed in continua espansione o rimodellamento.
Fu a partire dagli anni ’90 che due figure pionieristiche, Rachel Naomi Remen e Rita Charon, iniziarono a sostenere che la pratica medica dovrebbe essere strutturata attorno alle narrazioni dei pazienti. Nel 2000, Rita Charon usò per la prima volta il termine “Medicina Narrativa” per descrivere un metodo di utilizzo di quella che lei chiama “competenza narrativa”, che è “la capacità di riconoscere, assorbire, metabolizzare, interpretare ed essere commosso da storie di malattia”.
In un libro di testo molto in voga nel 1979 sulla formazione dell’artista (Drawing on the Right Side of the Brain), si proponeva che l’alunno aspirante a diventare artista eseguisse un esercizio di copiatura di un disegno di Picasso raffigurante Igor Stravinsky, il quale era stampato al contrario: i risultati furono notevoli perché questa modalità di riproduzione finiva per essere più fedele rispetto a chi copiava l’immagine nel verso corretto. L’inversione, infatti, obbligava i disegnatori a guardare l’immagine da una prospettiva nuova, a assecondare una composizione/disposizione di linee e forme assolutamente unica e nuova e quindi li distoglieva da una riproduzione intesa come assimilazione più o meno conscia ad un prototipo.
La Medicina Narrativa, nelle intenzioni della sua fondatrice Rita Charon, propone un modo altrettanto nuovo di guardare ai pazienti. Invece di avvicinarsi a ciascun paziente con il medesimo schematismo volto a selezionare le informazioni necessarie per riempire degli spazi vuoti in una check-list precodificata, la Medicina Narrativa si propone l’obiettivo che i medici prendano spunto da ciò che i pazienti vogliono dire e dal modo in cui vogliono raccontarlo. Questo approccio, si fonda sull’attivazione di un “diverso lato del cervello”, su un modo di pensare insolito. “La narrazione”, scrive Charon, “definisce i suoi percorsi, rompe ogni costrizione, mina i propri schemi. . . . [Esso] può creare il nuovo dal vecchio, un nuovo caos dalla linearità mentre sostanzia nuove connessioni soggiacenti a ciò che apparentemente non è correlato”.
Nuovo approccio resta comunque una etichetta molto relativa: è nuovo per il medico che agisce nel suo ruolo professionale convenzionale, ma in fondo per chiunque di noi, svestito di un camice bianco, la conoscenza delle persone, dei familiari, degli amici e dei loro problemi da sempre significa l’ascolto delle loro storie, e ciascuno di noi è pienamente consapevole che il modo in cui ascoltiamo può essere altrettanto rivelatore di ciò che sta accadendo, quanto la semplice successione degli eventi. In fin dei conti l’approccio narrativo, lungi dall’essere analogo al fatto di guardare Stravinsky al contrario, è molto simile al modo in cui ciascuno di noi nella sua quotidianità si mette in relazione e conosce una persona.
Naturalmente, quando amici, parenti o conoscenti ascoltano i racconti degli altri, e nella fattispecie i racconti di malattia degli altri, di solito hanno solo bisogno di commiserare e consolare o, eventualmente, di chiamare un medico. Al contrario, il medico non può prescindere nell’intervista con il paziente dall’identificare, enucleare e coniugare informazioni cliniche, estrarre i fatti significativi da queste storie e utilizzarli per prendere decisioni diagnostiche e terapeutiche. Tuttavia, dal punto di vista di Charon e della Medicina Narrativa, una cosa non esclude l’altra ed i medici, come i critici letterari o gli scrittori, solo devono essere esperti lettori di storie, sintonizzandosi con la loro struttura, con i loro livelli di significato, con il loro linguaggio od il loro lessico.
Avvicinarsi alle anamnesi dei pazienti nello stesso modo in cui lettori esperti si avvicinano a novellisti, narratori o personaggi è un modo per restituire alla medicina la sua umanità perduta, per rendere i medici più umili, più rispettosi del paziente, più empatici.
Le storie raccontate dai pazienti possono illuminare il modo in cui una persona si è ammalata, il punto critico che l’ha spinta a cercare aiuto e, forse la cosa più importante, le sfide che deve affrontare per migliorare. Le storie possono offrire quel tipo di ricchezza contestuale che promuove e nutre l’empatia, spingendo l’operatore a passare dalla domanda “Come posso curare questa malattia?” a “Come posso aiutare il mio paziente?” All’inizio la differenza può sembrare sottile, ma sapere come convincere i pazienti a condividere le loro storie può trasformare il modo in cui vengono curati e la natura stessa dell’essere medico.
Chiaramente tale abilità non è facile da sviluppare: Rita Charon è un medico con un dottorato di ricerca in letteratura inglese, ma il medico medio può non essere in grado, solamente sulla base della sua formazione, di interpretare la forma e il contenuto di una narrazione in modo valido o clinicamente utile. Eppure, tali abilità possono essere acquisite: risulta ampiamente dimostrato che lo studente formato all’approccio narrativo diventa più efficace nel condurre colloqui medici nell’eseguire procedure mediche e nello sviluppare un vincolo terapeutico con i pazienti; ha più fiducia nella sue stesse capacità di prendersi cura dei pazienti gravemente malati e morenti; migliora la sua capacità di adottare il punto di vista degli altri.
Nel testo fondazionale della Medicina Narrativa (Narrative Medicine – Honoring the stories of illness), è soprattutto nell’esemplificazione della sua tesi e nell’esposizione di casi reali che l’apporto di Rita Charon diventa più avvincente giacché a questo livello, al di là delle formulazioni teoriche, è dove più si avverte come attraverso le narrazioni più capiamo la vita dei paziente, più ci avviciniamo a loro.
Charon riporta la storia di una donna afroamericana di 89 anni, con ipertensione, cancro al seno, stenosi del canale spinale, insonnia e disturbo d’ansia che le rivela, dopo una relazione clinica durata 20 anni, un segreto che ha mantenuto per 80 anni: che la sua ansia non deriva da una caduta da cavallo durante l’infanzia, ma da una violenza subita per mano di un ragazzo bianco. La rivelazione finisce per liberare la paziente da tutta una vasta serie di sintomi fino ad allora incontrollabili e nella narrazione si cristallizza il vincolo tra il paziente, che narra, ed il medico che, grazie alla narrazione, ridisegna e ricostruisce il senso generale di una esperienza di vita. Queste storie emotivamente avvincenti ci permettono di conoscere i pazienti in modo apparentemente più completo di quanto consentito da una cartella clinica convenzionale. Nell’impatto emotivo che le storie hanno sui medici, risiede probabilmente l’impulso a prendere decisioni per aiutare la persona che soffre. Il fatto di conoscere i pazienti attraverso le loro storie ed ascoltarle o interpretarle, fa sì che la relazione medico paziente si trasformi in un vincolo in cui una persona nella sua globalità interagisce con altre persone anch’esse viste nella loro globalità, in modo assolutamente svincolato dalle strutture e dai limiti tradizionali imposti dal suo ruolo (e talvolta in bilico sull’orlo di un comportamento rischiosamente inappropriato, come nel caso in cui la stessa Charon paga lei stessa l’iscrizione da una palestra ad uno dei suoi pazienti o aiutando un paziente a scappare da una casa di riposo per prendersene cura a domicilio).
Al di là di questi picchi chiaramente eccezionali e forse eccessivi, resta il fatto che, nelle parole della sua stessa fondatrice, l’approccio narrativo alla medicina si traduce in un beneficio non solamente per il paziente ma per lo stesso medico. Tale approccio, nella misura in cui sintetizza ciò che realmente dà significato alla professione del medico e permette di stabilire una connessione con persona che il medico dalla sua posizione è in grado di aiutare, « mi ha regalato un grandissimo piacere ed un grandissimo sollievo »
Siamo testimoni di una medicina sempre più tecnocratica od organocentrica, nella quale il fondamentale ed insostituibile aiuto della tecnologia ha avuto certamente il merito di diagnosticare e curare malattie che probabilmente nel passato erano considerate fuori dalla portata della medicina stessa mentre l’iperspecializzazione ha permesso di prendere in carico e gestire una impensabile complessità; tuttavia questa stessa deriva biotecnologica allo stesso tempo ha condotto all’insediamento di pericolose categorie coma la parcellizzazione del paziente ed una comunicazione sbrigativa, alfanumerica, digitale, che ha più l’aspetto di una trasmissione di dati che di una relazione totalizzante in cui le due figure, nel racconto e nell’ascolto, perseguono il medesimo obiettivo. Su questo panorama, la Medicina Narrativa si propone come recupero della dimensione umana dell’atto medico, della centralità della persona sull’organo ammalato, della relazione di condivisione e di ascolto tra medico e paziente, di un modello di cura basato sulla compassione, sulla solidarietà, sull’umanità. La Medicina Narrativa è un impegno a comprendere la vita dei pazienti, a prendersi cura di chi si prende cura di loro e a dare piena voce a chi soffre.
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