A Willow non piaceva il cioccolato, o meglio, Willow mangiava il cioccolato perché alla maggior parte degli umani il cioccolato piace, quindi doveva piacere anche a lui.
Willow C. Hugo non era se stesso, non lo era mai stato. Era un attore che un giorno recitava un ruolo e un giorno un altro, tutti diversi fra loro, e con una bravura tale da far invidia pure a Shakespeare e a tutti i personaggi da lui ideati.
Willow era speciale, ma la folla in cui stava non era speciale e quindi si nascondeva dietro a una sagoma di cartone che a tratti pareva assomigliargli e a tratti no.
A Willow piacevano i ragni: da piccolo era in fissa con “Spider-Man” e ogni giorno che passava sperava che un ragno comparisse dal nulla e lo mordesse per fargli comparire strani poteri speciali.
Per il suo quindicesimo compleanno, nonostante lo scarso entusiasmo da parte della mamma, i suoi genitori lo portarono a una fiera di rettili e specie esotiche. Lì aveva trovato lei. Proprio LEI: Lilly Mary Jane, comunemente chiamata dai biologi “Lycosia Tarantula”.
Willow non aveva resistito al fascino di quell’animale ed era finito a offrire prezzi al venditore fino a quando questi, stanco di avere a che fare con quel ragazzino testardo e noioso, si era arreso e gliela aveva venduta per cinquanta dollari.
Lilly venne messa in un rettilario apposito nella camera di Willow, anche se la maggior parte delle volte Willow preferiva tenerla fuori dalla sua teca e farla zampettare lungo la scrivania mentre lui faceva matematica (spoiler: alla fine si distraeva e matematica non la faceva proprio). “L’aracnofilia” di Willow non era solo una passione, ma un vero e proprio amore. Ma nel mondo, purtroppo, esisteva anche l’opposto, l’aracnofobia, e le persone aracnofobiche sono sempre state in numero maggiore rispetto a quelle “aracnofiliache”. Quindi Willow, nel momento in cui qualcuno gli chiedeva chi fosse Lilly Mary Jane, rispondeva sempre “un gatto” e mostrava la foto di un siamese grassoccio che aveva trovato su internet. Perché? Perché Willow non era se stesso in un mondo di persone incomprese e dai sogni più infranti che chiusi nel cassetto. Forse entrambe le cose: infranti a cocci e chiusi nel cassetto, come il piatto di porcellana che aveva rotto a sei anni in casa della nonna e che aveva nascosto sotto il divano per non farsi sgridare.
Ecco com’era la vita di Willow: un piatto distrutto e ben nascosto, cosicché nessuno avrebbe potuto accorgersene.
Willow amava i vestiti neri, tipici degli “Emo”, ma, dato che quella categoria non era vista di buon occhio dai suoi coetanei, aveva abbandonato quel desiderio e si vestiva con jeans e felpe, jeans e camicie, jeans e giubbotti di jeans.
Perché tutto questo? Semplice: perché non era se stesso. Se la società diceva una cosa, Willow eseguiva. Fumare le Iqos al gusto palude e letame? Lui lo faceva. Scrivere sulla porta dei bagni della scuola: “Il prof Smith è un maledetto *bip*? Lui lo faceva. Prendersi l’hamburger a mensa come tutti gli altri, anche se voleva l’insalata? Lui lo faceva.
Willow non era Willow.
Willow era un fantasma che mostrava la sua vera personalità solo nel momento in cui si trovava chiuso nella sua stanza, con la sua Lilly, i poster dei “Neighbourhood” appesi alla parete e i fumetti di Junji Ito sugli scaffali, che mai spolverava se non sotto minaccia di sua madre.
Ma tutto era destinato a rimanere per sempre così? No, ovviamente. Non per Lilly. Che succede quando il rettilario di una tarantola viene lasciato aperto? Semplice: la tarantola scappa (a meno che sia una tarantola pigra e svogliata, oppure defunta, ma non è il caso della nostra Lilly). E in quale posto migliore fuggire, se non in un ambiente caldo e confortevole come lo zaino del proprio padrone?
Urla, scompiglio e ragazze in lacrime. Un ragno che attraversa i corridoi della “Lincon High School”. Tutti che corrono e Willow che non capisce il motivo, o almeno, non lo capisce fino a quando non riconosce Lilly, la sua dolce Lilly, ai piedi di una ragazza, l’unica a non essere scappata agitando le mani nell’aria.
Non era una ragazza qualsiasi, affatto, lei era LA ragazza, con tanto di articolo determinativo: Lycee. A essere precisi il suo vero nome era Victoria, ma, fosse stato per lei, avrebbe vissuto tutti gli anni della sua vita a trangugiare quei dolci frutti asiatici.
Lycee non si lasciava tanto intimidire dalla società: faceva quello che le pareva, nei limiti della legge, compreso urlare in mezzo a una palestra una parolaccia all’avversario della squadra di pallavolo che giocava scorrettamente toccando la palla due volte.
Lycee era l’opposto di Willow: si vestiva come più le piaceva, amava il cioccolato, diceva quello che pensava con pochi filtri e, se qualcuno meritava di essere mandato a quel paese, lei ce lo mandava con poca eleganza. Ma una cosa con Willow ce l’aveva in comune: le piacevano i ragni, e i serpenti, ma soprattutto i ragni.
Da quando quel giorno Lycee prese per mano Lilly senza scomporsi minimamente e la restituì al suo legittimo proprietario, Willow capì che evitare di essere se stessi evitava anche di conoscere certi individui che possono volerci bene per quello che siamo (opinioni, passioni e problemi compresi).
Da quando Lycee capitò nella vita di Willow, il ragazzo subì un cambiamento radicale: smise di mangiare il cioccolato, il suo armadio si tinse di nero, l’insalata, a mensa, abbondava nel suo piatto, il fumo iniziò a fargli schifo e, cosa più importante di tutte, alla domanda “Chi è Lilly?”, lui mostrava orgoglioso la foto della sua preziosa tarantola (la foto del siamese l’aveva eliminata dalla galleria del telefono) e se ne infischiava se la gente inorridiva alla sua vista.
Willow insegnò a Lycee come mentire senza doversi sforzare troppo e Lycee insegnò a Willow come fregarsene delle masse di ignoranti.
Willow e Lycee diventarono migliori amici, forse anche qualcosa di più, ma questo non posso dirlo con certezza.
Ciò che posso assicurare è che Willow era felice, perché era se stesso.
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