Nei giorni scorsi è stata presentata una “Lettera aperta alle parlamentari e ai parlamentari della Repubblica”, scritta da 25 personalità attive in vari ambiti sociali, che richiedono una pronta risposta istituzionale alla “strage di vite e diritti nelle carceri italiane”.
Credo che tutti noi siamo sconvolti dalle notizie tragiche che quasi quotidianamente leggiamo sui giornali di sofferenza inimmaginabile, insopportabile per molti detenuti che arrivano a togliersi la vita in carcere, un luogo che dovrebbe rispondere alla funzione stabilita dalla Costituzione, di rieducazione di chi ha sbagliato, ma in molti casi, è diventato un luogo “di morte e disperazione”.
Abbiamo voluto incontrare la nuova direttrice della Casa circondariale di Verbania, la dott.ssa Claudia Piscione Kivel Mazury per conoscere, attraverso l’intervista che proponiamo, quale sia la situazione carceraria a Verbania.
Alla TV e sui giornali veniamo a conoscenza di una situazione molto difficile nelle carceri italiane riguardo alla carenza del personale di importanza fondamentale nella vita carceraria: agenti, educatori, psicologi. Come è la situazione a Verbania?
Claudia Piscione Kivel Mazury (C.P.): Drammatica. Per quanto riguarda il personale di polizia penitenziaria, abbiamo 8 unità in meno: in pianta organica ne sono previsti 44, noi ne abbiamo 36. Il problema è che anche in relazione alle unità che abbiamo, non sono rispettate le proporzioni uomo-donna, quindi in realtà abbiamo 11 unità maschili in meno.
Siamo sotto organico e questo significa non riuscire a coprire tutti i turni di servizio, significa anche pressare il personale che c’è, fargli fare turni continuativi, chiamarli nelle giornate di riposo: il personale sta esplodendo. Ho ricevuto diverse lettere da parte di chi non ne può più: c’è chi chiede di trasferirsi, di poter beneficiare di diritti legittimi, come il riposo… È comunque un servizio pubblico, per cui ci sono esigenze di servizio che vanno garantite. La sicurezza va garantita, noi non abbiamo altre possibilità che richiamarli anche nelle giornate di riposo. E ovviamente loro esplodono, me ne rendo conto!
Se poi analizziamo la situazione del personale civile, l’area trattamentale manca di un’unità in pianta organica: avremmo infatti due educatori previsti e invece ne abbiamo una sola, che fa il lavoro di due persone.
Riguardo al personale sanitario, va un po’ meglio: la settimana scorsa abbiamo integrato la convenzione che ora prevede due psicologi, uno della ASL e uno del Ministero.
Al 30 giugno 2024 i dati nazionali del DAP parlano di 10.000 reclusi in più rispetto al massimo consentito, a luglio la cifra sale a 14.500… Come è la situazione nella Casa Circondariale di Verbania? Quanti sono i detenuti? La capienza della struttura è rispettata?
(C.P.): In media sono circa 80, con piccole flessioni. Abbiamo un turn-over abbastanza “vivace”, come Casa Circondariale. La capienza è sugli 82- 83. Quando raggiungiamo il limite massimo, proponiamo sfollamenti agli organi superiori per allontanare un numero di detenuti che sono in più rispetto a quanto previsto. Però va fatta una considerazione: questa valutazione riguardo alla capienza va fatta anche in relazione alle due sezioni protette che abbiamo. Quella dedicata agli ex appartenenti alle Forze dell’ordine registra spesso numeri inferiori rispetto alla capienza effettiva. Diversamente le altre sezioni, soprattutto quella dei detenuti comuni e degli omosex, vantano uno stato di sovraffollamento. Se guardiamo i numeri generali sembra che la capienza sia corretta, ma se prendiamo in considerazione specificamente le singole sezioni (soprattutto quella dei comuni e omosex), in sostanza la capienza non è rispettata, tenendo conto dei metri quadri che si calcolano per detenuto. Se consideriamo, come ci dice la Corte Europea, 3 mq lo spazio vitale per detenuto talvolta, quando i numeri aumentano, è possibile che non siano rispettati.
Può spiegare per i nostri lettori quali sono i circuiti della Casa circondariale di Verbania e quale differenza c’è tra carcere e Casa circondariale?
(C.P.): Abbiamo due circuiti protetti: un circuito “Forze dell’ordine” e un circuito “omosex”.
Poi c’è un circuito che riguarda il reparto in cui ci sono i detenuti “art. 21” che attualmente è esterno [l’art. 21 dell’Ordinamento penitenziario prevede che alcuni detenuti possano essere assegnati al lavoro esterno al carcere con autorizzazione dell’autorità giudiziaria ndr. ]. Ora ci sarà una riforma, per cui il reparto “art. 21” sarà portato all’interno, perché prevediamo di incrementare il numero delle persone che possono andare a lavorare fuori.
Nei circuiti protetti troviamo detenuti che vengono assegnati per status giuridico, che prescinde dalla pena. Come Casa Circondariale, quando le pene sono lunghe, superiori ai 4-5 anni dovremmo allontanarli [In una Casa Circondariale sono detenute le persone in attesa di giudizio o quelle condannate a pene inferiori ai cinque anni ndr.]. Però alla fine ci troviamo con detenuti che hanno pene molto, molto lunghe, perché sono quelli che fanno parte del circuito dei protetti e vengono quindi assorbiti per status.
Un altro tema importante è quello del reinserimento nella società una volta scontata la pena. Quali le prospettive future? Ci sono già misure in atto per il reinserimento?
(C.P.): Noi puntiamo molto sul lavoro, che è proprio l’elemento trattamentale principale, cioè uno di quegli strumenti che si utilizzano per risocializzare. Risocializzare significa modificare atteggiamenti criminali di chi è recluso e il lavoro sicuramente dà prospettive in questo senso: intanto li rende autonomi e li allontana dalla delinquenza, evita anche ai detenuti di oziare all’interno dell’istituto e quindi di abbandonarsi a situazioni magari non consone; voglio poi ricordare uno studio fatto dal nostro Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria che dimostra che il tasso di recidiva si abbassa del 30% per i detenuti che nel percorso intramurale, ma anche extramurario, riescono avere percorsi lavorativi, perché crea un’alternativa alla delinquenza e poi perché permette loro di guadagnare qualcosina e di avere più prospettive all’esterno, come prendere una casa e acquistare dei vestiti.Fanno poi corsi di formazione e acquisiscono titoli di studio che possono spendere all’esterno, una volta dimessi.
Puntiamo molto quindi su questi due aspetti per il reinserimento: formazione e lavoro.
Quali sono le attuali realtà in cui i detenuti vengono impiegati all’esterno?
(C.P.): Sono attività diverse, che vanno dalla ristorazione, con i detenuti impiegati nella Cooperativa Il sogno, alle attività di pasticceria con il laboratorio Banda Biscotti, all’impiego presso Casa Ceretti. Poi abbiamo avviato un percorso di manutenzione del verde, con un detenuto impiegato in un vivaio, altri detenuti lavorano in ristoranti della zona. Puntiamo molto sulle attività di ristorazione.
Vogliamo dare continuità a questi percorsi, abbiamo avviato l’anno scorso e stiamo avviando per quest’anno e per l’anno venturo corsi di formazione professionale per questo tipo di attività: cucina, pizzeria e adesso un nuovo corso di pasticceria, chi li frequenta esce con qualifiche che potrà poi utilizzare all’esterno. Prevediamo in futuro di avviare anche un corso di sartoria.
Inoltre fanno tutti il Corso sicurezza sul luogo di lavoro.
Per i detenuti che vengono dimessi che progetti ci sono?
(C.P.): C’è un progetto che abbiamo avviato da poco con Sportello lavoro, uno sportello che gestisce un gruppo di associazioni del territorio: dalla FORMONT, alla Casa di Carità , alla Cooperativa Il Sogno. Il progetto unisce tutte queste realtà; noi segnaliamo i detenuti 6 mesi prima della data di dimissione e da lì si comincia la presa in carico, con la preparazione dei curricula, con tentativi di inserimento lavorativo, con l’iscrizione al Centro per l’impiego. Il progetto è operativo, stiamo già iniziando a fare le segnalazioni per i detenuti che saranno dimessi a dicembre.
Ci vuole dire qualcosa sul volontariato in carcere?
(C.P.): Abbiamo l’associazione Camminare insieme che supporta i detenuti, quelli più indigenti, che hanno difficoltà pratiche, come l’acquisto di generi alimentari, iscrizioni alla scuola guida o prelevare dal conto corrente: vengono delegate al volontario tutte quelle attività che devono essere svolte all’esterno e che il detenuto non può svolgere. C’è poi il supporto pratico per l’acquisto di generi primari per quei detenuti che non possono provvedere con le loro risorse.
C’è inoltre un supporto importante che riguarda il “riempire il tempo” per chi è detenuto. Tantissimi sono i corsi che i volontari di Camminare Insieme hanno tenuto e tengono: corso di yoga, di origami, laboratorio musicale, fotografia, teatro. Non sono corsi professionalizzanti, non rilasciano qualifiche o attestati, ma non esiste solo quello, esiste il percorso di trattamento che significa fornire e offrire attività ricreative in linea con quanto previsto dalla legge.
Nella sua esperienza, ritiene che il clima generale instaurato nella nostra Casa Circondariale dal personale che vi opera contribuisca a evitare le situazioni drammatiche che ci raccontano i giornali nazionali? Qui la situazione è migliore?
(C.P.): La situazione è migliore, nel senso che statisticamente non abbiamo atti quotidiani di aggressione al personale e già questo è un ottimo risultato, considerando che in altri istituti del Piemonte, che ho avuto occasione di conoscere personalmente, ormai queste situazioni di aggressioni al personale sono quotidiane. Qui non ci sono, però sicuramente ormai la criminalità ha preso il sopravvento. Purtroppo noi scontiamo il problema della carenza del personale e questo spesso ci rende complicato intervenire nelle situazioni problematiche perché numericamente non abbiamo gli uomini, i mezzi e gli strumenti per poter intervenire e fronteggiare tutte le situazioni. Cerchiamo di farlo, però ci sono momenti in cui c’è il sopravvento del detenuto. Situazioni gravi di aggressioni vere proprie non ci sono, però ci è capitato, anche a me personalmente, di vivere situazioni di rischio.
I volontari riportano comunque che c’è molta umanità nei confronti dei detenuti da parte degli agenti
(C.P.): C’è molta umanità, l’approccio è decisamente umano, di mediazione, è così che deve essere, anche perché non siamo un carcere di massima sicurezza, non ci sono armi all’interno, tutto si basa sul dialogo, sulla mediazione.
È chiaro purtroppo che comunque ci sono situazioni che non si possono fronteggiare solo così, abbiamo anche a che fare con tassi di delinquenza abbastanza elevati, per cui ci vuole un occhio in più, bisogna rafforzare l’aspetto della sicurezza e coi nostri numeri facciamo fatica. Può poi capitare che una persona con disturbi di personalità perda il controllo e questo crea problemi per il personale, ma anche per gli altri detenuti, perché avere personalità così in un carcere così piccolo crea problemi di convivenza enormi.
Però, ripeto, c’è un rispetto reciproco, non ci sono situazioni gravi come leggiamo in altri istituti, dove ci sono vessazioni, aggressioni continue a danno del personale della polizia.
Per approfondire
https://ristretti.org/25-nomi-e-cognomi-per-la-clemenza-nelle-carceri
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