Magazine Alternativa A Numero 2
Anno 2024
Che cos'è la vita? Questa è la domanda che dobbiamo farci!
17 Giugno 2024

Vittorino Andreoli a Casa Don Gianni a Domodossola, in occasione delle iniziative in ricordo del decennale della morte di don Antonio Visco

Vittorino Andreoli è in piedi, dietro al tavolo. Davanti a lui più di duecento persone, pronte ad ascoltarlo, a seguirlo nei ragionamenti, a farsi aiutare a decifrare alcuni aspetti di una realtà sempre più complessa e confusa.

Andreoli, che è nato a Verona nel 1940, è stato ospite di Casa Don Gianni sabato 9 marzo, in occasione delle iniziative in ricordo del decennale della morte di don Antonio Visco: mentre parla di fatiche e di amore, di domande sul senso della vita e sull’importanza della testimonianza, prende sempre più forza il significato del titolo “Il coraggio di vivere”, che è stato scelto per il suo intervento: «Sono un pessimista attivo: corro da mattina a sera, perché sento che ci sono dei pericoli e cerco di fare qualcosa». 

E l’elenco dei pericoli presenti nella società di oggi comprende anche la realtà virtuale, che Andreoli definisce una disgrazia: «Il metaverso è, e sarà, una sciagura, perché è un sistema che fa diventare virtuale: non fa ‘guardare’ il virtuale, ma fa ‘diventare’ virtuale».

Quando tutto è in crisi, quando tutto sembra incomprensibile, quando tutto sembra non avere senso, Andreoli suggerisce di andare alla domanda di fondo: «Che cos’è la vita? Questa è la domanda che dobbiamo farci. Oggi c’è bisogno di insegnare che cos’è la vita: dobbiamo insegnarlo non con le chiacchiere, ma con l’esempio. Bisogna togliere il dominio del denaro sui rapporti umani, recuperando quei valori che sono denaro-indipendenti, come il rispetto e la gentilezza. I ragazzi devono imparare che ci sono molte dimensioni umane che non dipendono dal denaro. E la prima di queste dimensioni è quella dell’amore».

Andreoli è un affabulatore appassionato e coinvolgente, capace di andare al cuore delle cose con la gentilezza che lo contraddistingue: «Vita vuol dire che si passa dal nulla all’essere e poi dall’essere al non essere più: io credo che nell’umano ci sia del sacro, come dice bene Rudolf Otto, che individua delle categorie del sacro, che riguardano il mistero. E quella sul mistero non è una domanda, ma una risposta. Per poter vivere serenamente bisogna accettare i propri limiti e la propria fragilità, imparando a riconoscere di aver bisogno dell’altro. Se c’è una psicologia che vale, è la psicologia del noi».

Mai una parola fuori posto, mai una concessione alla battuta facile, nemmeno quando affiorano aneddoti di vita: eppure le sue parole sanno essere forti e precise, anche quando tra le pieghe del discorso emergono accenni all’attualità, alla classe politica, ad una educazione sempre più indirizzata a dare valore all’essere forti, quando invece avrebbe più senso «educare i giovani alla mitezza, che non è debolezza».

Tra gli ultimi libri di Andreoli segnaliamo “La dittatura del denaro” (Solferino 2024) e “Muretti a secco. La ricchezza della semplicità” (Low 2023): «Nel muretto ogni sasso mantiene una propria individualità, è legato ma allo stesso tempo ha una configurazione singolare – scrive – e nei casi in cui un muretto cada, torna sé stesso nell’ammasso degli altri sassi. C’è, in questo, la configurazione di un rapporto e persino di un rapporto sociale: in una comunità ci sono gli individui, ognuno dei quali ha caratteristiche proprie che però devono convivere con quelle degli altri».

Ecco perché prima di raggiungere Casa don Gianni il famoso psichiatra aveva voluto compiere un breve sopralluogo al sito megalitico di Varchignoli, caratterizzato da una fitta rete di poderosi muraglioni in pietra a secco alti più di cinque metri. Chissà che non ne parli in un prossimo libro.

Un uomo che fotografa e regala voglia di vivere. Così descriveremmo il professor Andreoli nei momenti conviviali che abbiamo condiviso a Varchignoli. È stato bello vedere l’entusiasmo quasi infantile che ha accompagnato la visita al sito megalitico, ma anche semplicemente alle “case di una volta”, alle pile di legna, ai piccoli orti ancora coperti d’inverno, in poche parole a quelle opere umane semplici che hanno reso vivibili le pendici della montagna e l’hanno preservata nei secoli. 
Proprio nel contatto con la natura è emerso il lato umano che ha fatto germogliare la voglia di stare assieme in ciascuno dei commensali che vedete nella foto, il modo migliore per fissare un ricordo e rendere preziosa la giornata.

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