“Dopo essere esploso per tremila anni con mezzi tecnologici frammentari e puramente meccanici, il mondo occidentale è ormai entrato in una fase di implosione. […] Ci stiamo rapidamente avvicinando alla fase finale dell’estensione dell’uomo: quella, cioè, in cui, attraverso la simulazione tecnologica, il processo creativo di conoscenza verrà collettivamente esteso all’intera società umana, proprio come, tramite i vari media abbiamo esteso i nostri sensi e i nostri nervi. Che questo prossimo estendersi della comunicazione, cui mirano da tempo i tecnici pubblicitari con riguardo a particolari prodotti, debba o no considerarsi ciò che si dice “un bene” costituisce un problema aperto a un’ampia gamma di soluzioni.” (Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore 1967, titolo originale Understanding Media, 1964)
McLuhan individua una situazione drammatica, il medium diventa esso stesso il messaggio “che modella e controlla la portata e la forma dell’associazione e dell’azione umana”. Strumenti che diventano mezzi in grado di orientare abitudini, gusti, consumi, modi di vivere e di pensare.
Erano gli anni sessanta, i media erano le radio, i giornali, le televisioni (in bianco e nero), i telefoni (rigorosamente fissati al muro). Archeologia. Oggi a farla da padrone sono i social media, mezzi sempre più sofisticati e sempre più autonomi che ci hanno condotto a vivere pienamente immersi in un mondo di cui rischiamo di perdere il controllo. Strumenti di indubbia utilità che ormai fanno parte integrante della nostra vita e che non possiamo assolutamente ignorare, che ci costringono a interrogarci sul tema anticipato da McLuhan: un bene che può costituire un problema.
Dal punto di vista sanitario, della salute pubblica, gli effetti positivi della diffusione dei social sono indubbi e rimarchevoli. La promozione e la diffusione di dati e informazioni atti a migliorare le buone pratiche di salute, la possibilità di monitorare le condizioni di salute in particolare di anziani e fragili,
strumenti sempre più efficaci per diagnosi a distanza, la telemedicina. Pensiamo all’importante ruolo rivestito dai social e dalla loro capillare diffusione nel corso della recente pandemia.
Risultati ed effetti positivi che non possono però far cadere l’attenzione su questioni problematiche che possono verificarsi. La disinformazione, estesa anche in ambito sanitario, che imperversa sul web, il rischio di venire usati dai social anziché usarli, la scarsa consapevolezza e la scarsa perizia con cui utilizziamo con disinvoltura strumenti ad elevatissima tecnologia e dagli effetti potenzialmente dannosi.
È il caso della diffusione tra giovani e giovanissimi dello smartphone. Strumento diventato a torto o ragione indispensabile, che vediamo maneggiare con disinvoltura da “nativi digitali”, spesso però inconsapevoli dei rischi annessi al loro utilizzo. I genitori che spesso, temendo di vedere il proprio “nativo” emarginato, cedono alle richieste pressanti, gli regalano lo smartphone e si danno come giustificazione la sicurezza di averlo sempre reperibile, sotto controllo. Saprà il giovane “nativo digitale”, quasi certamente più abile dei genitori, farne buon uso?
E proprio nella nostra provincia del VCO è nata l’idea della “patente per lo smartphone”, un corso, analogo a quello per la patente per il motorino, per conoscere le modalità di utilizzo, conoscerne le potenzialità e i rischi.
Ne abbiamo parlato con Mauro Croce, psicologo, da anni impegnato sul fronte delle dipendenze, e Francesca Paracchini, pedagogista dell’Associazione Contorno Viola.
Gli attuali smartphone sono di estrema semplicità di utilizzo, non necessitano di manuali o particolari corsi di apprendimento. Utilizzarli comporta però una forte conoscenza delle potenzialità e dei rischi che possono derivare dal loro utilizzo. Perché i rischi ci sono, e non sono pochi: cyberbullismo, fake news, truffe, pedopornografia… Occorre altresì acquisire consapevolezza e responsabilità, degli utenti e della comunità intera. Occorre educare alla cittadinanza digitale.
La valenza educativa non può che partire da un’alleanza di più soggetti: la scuola, le famiglie, le forze dell’ordine, il volontariato, la salute pubblica, le amministrazioni. Nel VCO si è riusciti a trovare la collaborazione dei diversi soggetti: l’Ufficio Scolastico Provinciale che ha coordinato il progetto, l’ASL VCO, l’Associazione Contorno Viola, la Polizia di Stato. Ad aiutarci la Legge Nazionale 71/2017 sul cyberbullismo che prevede un referente in ogni scuola.
A ragazzi di 11-12 anni, gli studenti delle prime classi della scuola secondaria di primo grado di tutta la provincia e alle loro famiglie. Il progetto ha però coinvolto anche ultra sessantacinquenni, il record spetta a una signora di 89 anni.
Dopo l’istituzione del gruppo di lavoro coordinato dall’Ufficio Scolastico Provinciale viene realizzato un percorso formativo per gli insegnanti referenti del cyberbullismo di ogni scuola, i quali a loro volta realizzano, in orario scolastico, due unità di apprendimento sui temi individuati come critici che si conclude con un test di verifica dell’apprendimento. Le famiglie vengono poi coinvolte con la stipula di un patto tra genitori e figli come assunzione di reciproca responsabilità. Vengono infine realizzate e stampate le patenti che vengono consegnate con una cerimonia pubblica alla presenza di autorità locali e delle forze dell’ordine.
Lo sforzo è stato soprattutto quello di chiarire bene, in maniera volutamente semplice data l’età dei ragazzi, le informazioni di base. Per questa ragione gli insegnanti, debitamente formati, affrontano dapprima i temi dell’identità digitale, dei dati sensibili, della privacy attraverso quesiti che stimolino la discussione di gruppo. Nella seconda unità didattica si affronta invece più direttamente il tema del cyberbullismo sempre stimolando la discussione.
No, il test, anche se volutamente semplice, va superato. A questo punto viene consegnato il patto che, va riportato controfirmato per ottenere il patentino. È successo anche che il patentino venisse ritirato in alcune situazioni di cyberbullismo o cyber-stupidità, sempre però con una valenza educativa: la patente ti viene restituita ma dobbiamo fare un percorso insieme, da alleati. I ragazzi, gli adulti, la scuola e la famiglia.
Sì, perché salute è anche relazioni, felicità, condivisione, affrontare insieme momenti di tristezza e di dolore. Tutti dobbiamo concorrere nella costruzione della salute e nella difesa della salute collettiva. Anche in una comunità digitale.
Sì, Il progetto sperimentale è stato avviato nel 2017, successivamente alla legge contro il Cyberbullismo (n° 71, 29 maggio 2017), la cui prima firmataria è stata la senatrice Elena Ferrara. Il consigliere regionale Domenico Rossi è stato relatore invece della Legge regionale n. 2 del 5 febbraio 2018 che all’iniziativa del VCO si ispira. Numerose sono poi le realtà locali e le scuole in tutta Italia che hanno adottato o hanno tratto spunto dal nostro progetto. Recentemente la trasmissione di Rai 3 Presa Diretta ne ha realizzato un servizio.
Un progetto interessante, fondamentale per educare, a partire dai più giovani, alla cittadinanza digitale, cittadini consapevoli delle opportunità ma anche dei rischi e dei pericoli dei social media diventati pressoché indispensabili, sempre più sofisticati, sempre più diffusi, inarrestabili. Pensiamo alle crescenti preoccupazioni che sta sollevando l’attuale proliferazione dell’Intelligenza Artificiale.
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