Magazine Alternativa A Numero 2
Anno 2024
I luoghi, la memoria, la storia
17 Giugno 2024

Ma perché c’è gente che perde il proprio tempo a occuparsi di storia locale?

Ci aggiriamo tra vie, piazze, spazi di paesi e città in cui viviamo quasi sempre sbadatamente, spesso in auto, con la mente rivolta alla méta o ai fatti nostri. Gli occhi colgono i segni familiari della nostra personale mappa urbana: quell’edificio, quella bottega, quell’incrocio, quella chiesa, quella banca, quel parcheggio, quella scuola. Ci si muove quasi sempre con inforcati gli occhiali opachi dell’abitudine, della consuetudine. Di tanto in tanto cogliamo una cambiamento: là dov’era il panettiere ora vendono scarpe, al posto del giornalaio un cinese aggiusta smartphone; “Eh già, troppi supermercati…”- la mente registra e subito la personale mappa viene aggiornata.

Ma quante volte quei luoghi sono cambiati sotto i nostri occhi, nell’arco della nostra vita? Avete mai provato a ricostruire mentalmente com’era quando eravate più giovani una strada a lungo conosciuta e frequentata? Casa per casa, attività per attività, viso per viso. Quanti cambiamenti! I nostri luoghi, come tutti i luoghi, cambiano, le persone cambiano: è il tempo che scorre, il nostro tempo, la nostra vita. Passano i decenni e i secoli, le generazioni si avvicendano, la città si trasforma: è la storia che scorre, la nostra storia.

Gli spazi in cui viviamo, siano ambienti urbani o extra urbani, sono inesauribili mescolanze di luoghi:  strade, monumenti, lapidi, case, cortili, muri, fabbriche, giardini, alberi, sentieri, squarci di paesaggio, rocce, sponde di laghi, torrenti, ruscelli… e si potrebbe continuare pagina su pagina. Raramente ci soffermiamo a pensare che ognuno di questi luoghi ha una sua storia da raccontare, forse più di una, probabilmente molte. Storie che vivono nei ricordi personali di pochi, che ciascuno custodisce, ma anche storie che appartengono alla memoria condivisa da molti, da intere comunità: perché lì, in quel luogo, in un certo tempo, è successo qualcosa di importante per chi lì viveva, e allora si ricorda tutti insieme, si genera una memoria comune che diventa parte costitutiva dell’identità collettiva di quella comunità.

I luoghi sono, quasi sempre, le prime, le più agevoli porte di accesso al passato, al racconto della vita della comunità, i media che aiutano a connettersi a quel passato. Ma occorre svelarli, farli parlare, farli diventare testimoni eloquenti, altrimenti restano presenze mute esprimenti null’altro di ciò che oggi visibilmente appaiono, scenografie che fanno da sfondo alla nostra quotidianità, al nostro muoverci in contesti domestici ignorando ciò che realmente essi sono o rappresentano.

Se la gran parte dei luoghi che ci circonda resta per noi muta, priva di suggestioni e di retaggi, la nostra conoscenza dell’ambiente in cui viviamo non è in grado di generare la comprensione dei significati e dei valori che vi sono contenuti e, conseguentemente, è il vincolo che percepiamo con il territorio che ne risente, che rimane fragile ed esile, perché meno si sa, più debole sarà il legame. Conoscenza e comprensione costruiscono invece legami, inducono affetto e rispetto.

Alla memoria – che sia individuale o collettiva non fa differenza, perché la seconda non è che una sorta di denominatore comune della prima – servono i luoghi. Nella memoria il tempo (il passato) e lo spazio (i luoghi) si saldano, si integrano: l’uno ha bisogno dell’altro e viceversa. I luoghi, scrivevo tempo fa, sono gli attaccapanni cui la memoria appende i ricordi, li tiene in ordine (a volte anche un oggetto, un documento, un motivo musicale, svolgono la stessa funzione). Senza attaccapanni i ricordi si ammucchiano, si stropicciano, si confondono, sbiadiscono.

La memoria costruisce poi una sua geografia fatta di luoghi (ma anche di altri media) cui si legano significati. È una geografia esclusiva – vale soltanto per la singola persona, la singola comunità – ed arbitraria: il prato fiorito assume una connotazione cupa perché luogo di un fatto di sangue, la grigia periferia un colore gioioso perché lì è nato un amore. È anche una geografia mobile e provvisoria, soggetta a continua espansione e rivisitazione, perché la memoria, per poter assolvere quella funzione di rielaborazione del passato ad uso del presente e in vista del futuro, non cristallizza una volta per tutte ciò che è stato, ma, al contrario, è come un laboratorio in perenne attività.

La nostra personale biografia altro non è che un insieme di memorie, recenti e passate, a volte tra loro correlate, a volte no, ma sempre tese a comporre quel mobile mosaico che sostanzia la nostra esistenza, che la connette in fitte reti alle memorie delle storie altrui, associando memorie comuni che vanno a costituire quel patrimonio condiviso che è la memoria collettiva, la memoria riconosciuta e partecipata da vasti gruppi, da un’intera comunità.

Questo patrimonio si presenta però ancora come un insieme frammentato di conoscenze, che necessita di integrazioni e, soprattutto, di chiavi e piste di lettura. Ha, cioè, bisogno di essere riletto, esplorato, ordinato, aggiornato per rivelarsi produttivo; ed è buona regola non lasciare sparso e fluttuante, in balìa di cattive suggestioni, tutto ciò che sta in questo calderone che è la memoria condivisa perché, in quanto materia prima costituente l’identità di una comunità, se certo esiste un buon sentimento identitario che unisce, comprende e sa accogliere, ne esiste pure uno cattivo che arrocca, spranga le porte, discrimina, esclude.

Mettere un po’ di ordine significa sforzarsi di dare risposte oneste, plausibili e verificate ai molti interrogativi che da quell’insieme inevitabilmente emergono; in modo da rendere esplicite le connessioni, le concatenazioni, le linee evolutive, le convergenze e le divergenze. Avremo così dato un solido bastone su cui agganciare tutte le grucce e gli appendini che costituiscono la Storia di quella comunità, di quel territorio, quella che sbrigativamente viene definita la Storia Locale, che altro poi non è che un frammento della Grande Storia di un popolo, di un Paese.

A cosa serve una storia locale? A scrivere libri e fare convegni, sì, certo, ma questo è solo la tassa che una comunità paga per disporre di quel patrimonio comune di memorie, nel bene e nel male condivise, che è la materia viva di cui è fatta l’identità collettiva dei suoi membri; identità che, quando virtuosamente orientata, consolida in ciascuno la coscienza di essere parte responsabile di quella comunità e che è, a sua volta, uno dei fondamentali ingredienti della coesione sociale, la condizione che meglio attrezza una comunità ad affrontare con consapevole determinazione la quotidianità e il domani.

Questioni serie, insomma, sulle quali sarà utile tornare in modi più esaurienti.

1. Repetita juvant, sempre Mercedes Sosa in Todo cambia, in un video migliore del precedente: https://www.youtube.com/watch?v=7HLL0S52Qtg e ci sta pure Bob Dylan con The Times They Are a-Changin’: https://www.youtube.com/watch?v=Q9_nWlSX6Us

2. Questi due ultimi capoversi riprendono quanto ho scritto nell’introduzione dal titolo “Le cose hanno sempre un perché, anche questo libro ce l’ha” a Le Mappe della Memoria, un progetto dell’Assessorato alla Qualità della Vita del Comune di Verbania realizzato da A. Biganzoli, ed. Comune di Verbania, 2003, pp 11,12; in seconda edizione con Tararà Edizioni, Verbania 2007, pp 11,12. Chiedo venia per l’autocitazione, ma perchè parafrasare quanto già scritto?

3. Forse, in mano a bravi insegnanti, perfino a far comprendere da dove venga e cosa sia la Storia che si studia a scuola.

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