Autore: Dino Buzzati
Titolo: Il Deserto dei Tartari
Edizione Oscar Mondadori: marzo 1975
Pagine: 256
Il romanzo è il risultato di un’illuminazione felice, attraverso cui lo scrittore riesce a individuare e a sviluppare temi destinati a toccare le inquietudini e le angosce dell’uomo: il tempo che passa e che deforma cose e persone, la frustrazione che spinge l’individuo alle inutili attese, l’illusione di realizzare se stesso soltanto nel domani e le delusioni degli appuntamenti mancati con la fortuna.
L’impronta del mistero e del magico emerge attraverso tecniche particolari: il romanzo stesso manca di una precisa collocazione spaziale e temporale ed è ambientato in zone imprecisate, con vaghe indicazioni temporali, anche se i luoghi vengono descritti con una certa precisione, quasi fossero ritratti dal vero.
Questo perché all’autore non interessava dare una collocazione precisa a narrazione e personaggi, ombre prive di autonomia, che rappresentano però i mille aspetti dell’uomo nella sua breve vicenda terrena. Estranei agli stessi o quasi completamente assenti sono gli affetti, le presenze femminili, i rimpianti: sono uomini soli, tutti simili, come dei tipi, destinati a recitare la loro parte nella commedia della vita.
La scrittura del Deserto dei Tartari diventa così lo specchio romanzesco della vita dell’autore e di tanti uomini come lui; la storia del protagonista Giovanni Drogo rappresenta una “sintesi della sorte dell’uomo sulla Terra”, un racconto del destino dell’uomo medio in attesa di un’ora di gloria che continua ad allontanarsi, fino a diventare un’occasione perduta per sempre.
Pubblicato nel 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, il deserto dei Tartari anche per questo diventa un libro speciale, il libro della vita di Dino Buzzati, l’opera più significativa e un simbolo per il suo tempo, il romanzo che consacrerà Dino Buzzati tra i massimi scrittori del Novecento. Il contesto storico della scrittura del libro, la vigilia della seconda guerra mondiale, è stato certamente determinante nella scelta e nello sviluppo delle sue tematiche: l’ignoto, l’avventura, la molteplicità delle direzioni possibili verso cui spingersi.
La trama racconta di chi parte per il fronte con aspettative alte, ma anche di chi rimane a casa, e di chi fa il bilancio della propria vita, consapevole di vivere una condizione umana non eroica.
Il romanzo rappresenta anche uno strappo tra due momenti della vita di Buzzati, il mito dell’infanzia che viene distrutto dalla realtà della vita, dallo scorrere del tempo, dalla coscienza che la speranza, vista retrospettivamente, sia vana e illusoria.
Il mondo poetico e simbolico di Buzzati, non più espressione del legame misterioso e fantastico che nei suoi primi romanzi univa uomini e cose, si apre ora alle mille suggestioni di fantasmi, angosce, paure e miserie dell’uomo. Sfumature tragiche e grottesche diventano allegorie del destino umano, il mistero non corrisponde più al “meraviglioso”, ma al “mostruoso”.
Ai limiti del deserto, immersa in una sorta di stregata immobilità, sorge la Fortezza Bastiani, ultimo avamposto di un imprecisato impero affacciato sulla frontiera del grande Nord.
È in quella fortezza che il protagonista, il tenente Giovanni Drogo, viene inviato a far parte della guarnigione, ai confini dello Stato, in una regione lontana e periferica, che deve essere difesa da possibili attacchi del nemico provenienti dalla immensa pianura ai piedi del Fortezza. È lì che il protagonista consuma la propria esistenza, nella vana attesa del nemico invasore. Che arriverà, certo, ma troppo tardi per lui.
Il protagonista lascia la citta per raggiungere a cavallo (la vicenda si svolge forse tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento) la Fortezza Bastiani, attraverso un percorso lungo e faticoso che già mostra i tanti segnali di mistero del luogo che dovrà raggiungere. Il procedimento attraverso il quale Drogo entra nella realtà della fortezza e del suo squallore passa attraverso una sottile inquietudine, che pure lo affascina: “Non era imponente, la Fortezza Bastiani, né in alcun modo bella (…) nulla c’era che consolasse quelle nudità, che ricordasse le dolci cose della vita. Eppure, come la sera prima dal fondo della gola, Drogo la guardava ipnotizzato e un inesplicabile orgasmo gli entrava nel cuore”.
All’inizio della sua esperienza, ancora spettatore lucido delle vite degli altri militari e dell’oscuro segreto che ognuno di essi nasconde, ha un solo desiderio: andarsene appena possibile, senza lasciarsi contaminare dal fascino della vecchia struttura. Ma quando si presenta per lui l’occasione di lasciare per sempre quel luogo, scopre improvvisamente un’attrazione nuova e inspiegabile verso lo stesso.
“Mai Drogo si era accorto che la Fortezza fosse così complicata e immensa. Vide una finestra aperta sulla valle, a quasi incredibile altezza. (…). Vide ombre geometriche di abissi fra bastione e bastione, vide esili ponti sospesi tra i tetti, strani portoni sprangati a filo delle muraglie, antichi spiombatoi bloccati, lunghi spigoli incurvati dagli anni”. (…) Poi, per quanto fosse inverosimile, le mura, già assediate dalla notte, si alzarono lentamente verso lo zenit, e dal loro limite supremo, incorniciato da strisce di neve, cominciarono a staccarsi nuvole bianche a forma di airone naviganti per gli spazi siderali”.
Così Drogo, catturato dall’ambiguità della visione e ormai intrappolato nell’abitudine di una routine comoda e privilegiata, rinuncia a partire e diventa parte della Fortezza e di quell’esistenza sospesa, legandosi ai riti di un’aristocrazia militare decadente che si ripetono per anni, mescolati alla gerarchia, all’obbedienza e alla cieca osservanza di regolamenti superati e anacronistici.
Rinuncia a partire perché condivide il sogno di tanti altri abitanti della Fortezza e perché pensa che la sua vita sia ancora un’immensa risorsa cui attingere a piene mani.
Ma ignora che se da una parte il trascorrere del tempo continua ad alimentare la speranza che accada qualcosa, un’ora di gloria, un destino eccezionale, dall’altra consuma i sogni e la parte migliore della vita. È nell’attesa che si compie il senso dell’esistenza e il suo destino: l’apparente “nulla” della consuetudine in una guarnigione militare diventa il “tutto”.
L’inganno della fortezza e della sua oscura trama che cerca di trattenerlo, impedendogli ogni altra possibile scelta, è il passare degli anni mentre l’esistenza resta ferma: l’uomo invecchia senza accorgersi fino a che improvvisamente scopre la tragedia del tempo perduto e, come un’infausta rivelazione, il precipitare irreversibile verso la morte.
La struttura stessa del romanzo conferma questa corsa vorticosa verso la conclusione. In ventuno capitoli passano quattro anni, in quattro capitoli più di dieci anni: quando la vita di Drogo si avvicina alla fine, il tempo scorre sempre più velocemente.
E proprio in quell’intervallo di tempo spuntano improvvisamente i primi segnali che oltre il deserto qualcosa si muove, qualcosa si vede, qualcuno sta arrivando. La luce che proviene dal deserto non è soltanto oggetto dell’illusione o della sopraggiunta malattia di Drogo, ma è qualcosa di reale che non ha più oscuri legami con l’allucinazione.
Da questo punto il romanzo si muoverà in due direzioni; il lentissimo risolversi dell’evento e la lotta di Drogo contro il tempo per essere presente all’attacco del nemico. Fino a quando l’evento tanto desiderato sopraggiunge ma coincide, come un’estrema beffa, con l’aggravarsi del male di Drogo. La rabbia di non poter partecipare alla lotta sarà effimera e cederà il posto ad un altro sentimento.
Sì perché nell’ultimo capitolo Buzzati, con un colpo di scena, capovolge le situazioni e trasforma Drogo nell’unico vincente: è solo, cacciato dalla Fortezza proprio al sopraggiungere della grande “Occasione”, portato via su “una carrozza di ottima costruzione” (…) “una vera carrozza da malato”, mentre i suoi compagni «eccoli adesso a far bottino di gloria». Ma è proprio ora, nell’umile locanda lungo la strada, che avviene la rivelazione.
Drogo capirà di aver atteso invano il nemico dal nord, perché la vera battaglia sarà contro la morte. Nulla è più difficile che combattere una battaglia condotta senza possibilità di gloria.
“Nulla è più difficile che morire in un paese estraneo ed ignoto, sul generico letto di una locanda, vecchi e imbruttiti, senza lasciare nessuno al mondo”. E quando nella sua stanza entrerà lei, la morte, Drogo riconoscerà in essa “la sua grande occasione, la definitiva battaglia che poteva pagare l’intera vita”: non i Tartari, ma l’estremo valico, la grande soglia verso un Altrove. Non oscura disperazione ma “estrema speranza”:
La “gioia” è “inesprimibile”, scrive Buzzati, Drogo è l’eroe, i veri perdenti sono i compagni che ora stanno combattendo alla Fortezza. Sulla sua poltrona Giovanni Drogo drizza dunque il busto con dignità militare, guarda dalla finestra la “sua porzione di stelle” e infine, benché nessuno lo veda, “sorride”, non a caso l’ultima parola del romanzo.
Dino Buzzati nutriva un legame così profondo con questo libro, da volerne fare un film. È stato infatti ritrovato l’adattamento cinematografico del romanzo (poi inserito in una nuova edizione del libro) che mostra come l’autore immaginasse il film, senza poterne tuttavia vedere la realizzazione sul grande schermo. Il film infatti venne realizzato nel 1976, quattro anni dopo la sua morte, grazie a Jacques Perrin, che si impegnò personalmente nella ricerca di finanziamenti, e soprattutto grazie alla scoperta, nell’Iran sud-orientale, dell’antica fortezza di Arg-e Bam, che sarebbe diventata l’ambientazione del film stesso. Tra gli interpreti Jacques Perrin, nella parte di Drogo, Vittorio Gassman, Jean Louis Trintignant, Giuliano Gemma, Philippe Noiret.
Dino Buzzati, nato a San Pellegrino (Belluno) il 16 ottobre nel 1906 e morto a Milano il 28 gennaio 1972, è stato scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo, librettista, scenografo, costumista e poeta. È considerato uno dei più grandi scrittori “fantastici” del Novecento italiano.
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