Oh darling bye, darling bye, darling bye bye bye… questa improbabile traduzione, dettata anche dalla serata in stile irlandese a boccali di ottima birra, è rimasta per noi due un simbolo dell’amicizia di due ragazzi che, zaino in spalla, sono tornati nella terra in cui, tre anni prima, avevano lasciato pezzi di cuore.
Eravamo in un pub a Killybegs, un piccolo villaggio portuale nel golfo del Donegal, a due passi dal confine tra l’Eire (la Repubblica di Irlanda) e l’Ulster (l’Irlanda del Nord, parte del Regno Unito); era il 1996 e mancavano ancora due anni al Belfast Agreement, o Accordo del Venerdì Santo, che avrebbe reintrodotto il Parlamento nordirlandese e, soprattutto, impegnato il Regno Unito a legiferare per un Irlanda Unita se la popolazione del Nord Irlanda si fosse espressa in tal senso; le tensioni tra le diverse fazioni erano ancora forti e molti venivano a passare il weekend nell’amata Eire.
Ricordo ancora il tifo sfegatato e la gioia incontenibile per la vittoria della nuotatrice Michelle Smith de Bruin, medaglia d’oro alle olimpiadi di Los Angeles, titolo, per usare la frase di un compagno di bevuta, da sbattere in faccia agli unionisti al ritorno in Ulster.
Ad un certo punto della serata raccontai che venivamo da una terra che aveva vissuto una lotta di indipendenza durante la seconda guerra mondiale, parlai dei quaranta giorni di libertà e di una canzone che era l’inno di tutti i partigiani e fu così che Roberto, sicuramente più intonato di me, salì su un tavolo a cantare “Bella ciao” mentre io cercavo, con alterne fortune, di tradurla per gli avventori che, in totale silenzio, ascoltavano e, in alcuni casi, si commuovevano.
Dopo fu un tripudio di abbracci, canzoni e birra, tanto che il ritorno verso il campeggio fu piuttosto difficoltoso.
Il pub irlandese, così simile nell’aspetto a quello inglese ma così diverso: forse sono di parte ma nei miei mesi di permanenza in Inghilterra non ho mai percepito quell’atmosferica magica per la quale, in una frazione di secondo, ogni divisione sembra scomparire, in cui i tavoli si uniscono e ci si ritrova assieme a cantare e brindare come fratelli.
Come dimenticare la volta in cui ci ritrovammo a cantare con una ragazza dai capelli rossi e dalla voce cristallina, una voce che sembrava accarezzare le note per poi esplodere nella sua potenza vocale: aveva aperto un concerto con i Waterboys, all’epoca secondi solo agli U2 in Irlanda, eppure era lì, con grande semplicità, a cantare con due stranieri, con Roby che si lanciava in un’assurda improvvisazione di “My FIAT one”.
Ovviamente in Irlanda non ci sono solo i pub…
Ci sono le Cliffs of Moher, scogliere alte oltre duecento metri, dove puoi camminare ad un passo dallo strapiombo, sotto gli sguardi perplessi degli animali al pascolo, guardando un susseguirsi di insenature, precipizi, faraglioni e, se sei fortunato, riesci anche a scorgere le isole Aran che, da sole giustificano un viaggio in Irlanda.
Il Ring of Kerry, nelle penisole del sud-ovest, dal clima mite grazie alla corrente del Golfo, dove le strade tortuose sembrano svoltare in continuazione per permetterti di ammirare il paesaggio da tutte le direzioni, dove spiagge, sabbia bianchissima, baie, rovine di vecchi castelli, si susseguono interrotti solo da pittoreschi villaggi.
Le Giant’s Causeway, in Irlanda del Nord, dove oltre quarantamila colonne di basalto esagonali emergono dal mare facendoti sentire visitatore di un pianeta alieno.
E poi il monumento preistorico di Newgrange, più antico di Stohehehge, un gigantesco tumulo circolare in cui, durante il solstizio d’inverno, il sole illumina la camera interna; i castelli di cui queste terra è punteggiata, siano maestosi come quello di Kilkenny o circondati da un lago come quello di McDermott; la splendida Galway che, nonostante l’impatto del turismo di massa, mantiene ancora la sua vivacità e i suoi angoli tutti da scoprire; e poi laghi, colline, un cuore tutto verde dove mucche, tori e pecore sembrano i veri padroni, cittadine sperdute, le coste che sembrano senza tempo del Donegal…
L’Irlanda è questo e tanto altro ma è soprattutto un popolo che è ben descritto dal loro proverbio “Ar scáth a chéile a mhaireas na daoine” (Le persone vivono all’ombra l’una dell’altra).
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