Magazine Alternativa A Numero 4
Anno 2023
La cura come resistenza nella Piazza del Mondo di Trieste
27 Febbraio 2024

Non c’è resistenza senza lotta, ma non ci sono resistenza e lotta senza cura, cioè senza costruzione di collettività basata sulla cura reciproca

Trieste, piazza della stazione: da molti anni ogni giorno è il luogo di arrivo di decine, nei mesi estivi anche di centinaia di persone in fuga dai loro paesi. Vengono da lontano, in prevalenza da Bangladesh, Afghanistan, Siria e Iraq, fuggono da guerra e violenza, o hanno vissuto le conseguenze di eventi naturali devastanti, causati dal cambiamento climatico.

Decine di migliaia di profughi[1] dopo aver percorso la cosiddetta “rotta balcanica” giungono stremate al confine orientale del nostro paese. Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi da 8 anni, tutti i giorni, sono lì, in quella piazza che hanno ribattezzato Piazza del Mondo, per accogliere i profughi, medicare le loro ferite e fornire loro un piatto caldo e vestiario.

Molte di queste persone arrivano con ferite ai piedi, alle gambe, a volte con i segni delle torture inflitte dalle polizie europee di frontiera o da gruppi paramilitari croati e bosniaci, lungo quello che chiamano “The Game”, ovvero il tentativo di migrare verso la ricca Unione Europea, un percorso che può durare anni, attraverso mille difficoltà che culmina sulle montagne di Slovenia, Croazia e del Carso, affrontate con equipaggiamento assolutamente inadeguato, soprattutto negli inverni rigidi. Lorena e Gian Andrea a Trieste hanno anche fondato un’associazione, Linea d’Ombra, con l’obiettivo di raccogliere fondi per sostenere le persone migranti e gli attivisti impegnati in Bosnia.

Il 13 ottobre 2023 sono stati a Verbania, invitati dall’Associazione Nonsoloaiuto, con il sostegno di CST (Centro Servizi per il Territorio) di Verbania e hanno incontrato al mattino gli studenti dell’Istituto Cobianchi e la sera al Chiostro hanno raccontato la loro esperienza al pubblico verbanese. Li ho intervistati il mattino successivo per la nostra rivista:

Ieri sera Lorena mi ha detto che non si può pensare che chi arriva non trovi lì voi, Lorena e Gian Andrea, nella piazza della stazione di Trieste. Questo mi ha fatto capire un aspetto importante del vostro lavoro: la costanza è fondamentale. È per voi un impegno gravoso o ormai è diventato qualcosa di ineliminabile? Come si può per 8 anni, tutte le sere, mettersi a disposizione degli altri?

Gian Andrea: Quando diventa un modo di vita, non è più un’attività tra le altre, ma diventa un modo di esistere, ovviamente questo non toglie che ci siano dei limiti, che particolarmente io, in ragione della mia età (87 anni n.d.r.), soffro, ma è il nostro modo di vivere oggi, in questo mondo in cui, basta leggere il giornale, l’indifferenza per la vita è diventata un valore. Ciò che conta non è mai la vita del singolo essere umano, questa viene sempre dopo, se c’è tempo, se c’è possibilità, se ci sono mezzi, prima viene qualcos’altro, che in genere è l’economia, il prodotto interno lordo, la politica mondiale, la politica di potenza e questo tipo di migrazioni di profughi sono l’esempio concreto che la vita umana non conta. Muoiono a migliaia nell’indifferenza generale, ma il discorso si deve allargare anche alle nostre vite: per esempio il numero di morti sul lavoro, anche cose che possono apparire banali, come gli incidenti stradali, può bastare un momento di distrazione, e può esserci la morte e questo è considerato normale. Ogni anno muore un paese intero per una distrazione, per arrivare 5 minuti prima. Tutta la nostra vita è organizzata sull’indifferenza per la vita altrui. Non è nemmeno nelle situazioni di guerra quello che mi colpisce, dove c’è un falso obiettivo, quello che mi colpisce è la quotidianità organizzata in modo da considerare indifferente la vita umana; non parliamo poi della vita in generale, tutto è collegato: perfino la nostra alimentazione è organizzata in modo che il maggior numero degli esseri viventi non umani è allevata per essere uccisa da noi…

Quindi, per me la piazza è un luogo in cui l’indifferenza per la vita acquista voce, parla e può essere affrontata. Naturalmente la piccolezza di questa piazza di una piccola città di frontiera rispetto all’immensità dei problemi cui ho accennato è evidente, ma bisogna partire dalla nostra vita, dalla quotidianità, altrimenti ci si disperde in retorica, in buoni sentimenti, in letture e invece bisogna partire da gesti concreti, dalla pratica, dagli incontri, che sono sempre circoscritti, limitati ma che dovrebbero allargarsi, come un albero che cresce e si dilata, un seme che produce e comunica, crea reti a partire dal basso.

La chiave è proprio il principio di responsabilità, il mettersi in gioco personalmente?

Lorena: La cura deve essere caratterizzata dalla costanza, la Piazza è come una creatura dove ogni giorno arrivano 50- 60 persone, a volte centinaia: non ci si può tirare indietro perché significherebbe che queste persone rimangono senza cibo, dopo essere rimaste senza cure per 4 – 5 giorni. Allora come si fa a non essere lì, per essere testimoni di queste vite violate? La nostra attività non è solo quella di curare assistendo, ma di creare fratellanza o sorellanza di tipo politico, in cui noi siamo testimoni della violenza dei confini.

Cos’è una madre se non la testimone della vita di questo altro che è il proprio bambino? La Piazza del Mondo è come un bambino che ha bisogno del riconoscimento costante, di uno sguardo che può essere solo lo sguardo della cura. Quindi va allevato proprio come si alleva una creatura che ha bisogno di crescere, di andare avanti, che ha bisogno di provare quello sguardo del riconoscimento che ti fa dire sono un essere umano, non sono spazzatura e da qui prendo coraggio e riprendo il mio game, il mio viaggio verso il mio progetto di vita.

E in questa cura vi trovate in una città che non è molto sensibile a questo aspetto…

Lorena: No, la città è molto indifferente e sappiamo che l’indifferenza uccide più di una guerra. Però abbiamo la solidarietà di tantissima parte della società civile e dobbiamo proprio a questa il merito di poter aiutare i ragazzi migranti, le famiglie, i bambini al seguito delle famiglie: a questa parte della società civile che è distribuita in tutta Italia e Trieste appena la tange, dobbiamo moltissimo.

Dovete moltissimo, ma restituite moltissimo. Nel bell’articolo pubblicato su Il manifesto, Lorena, scrivi: “Un corpo chiama, un corpo risponde”; parli di “corpo di dolore” ieri dicevi che “usi la lingua del corpo” per comunicare, attraverso l’abbraccio e i gesti che una mamma compie per i suoi bambini. Vuoi dire qualcosa sulla reciprocità che si instaura in questo percorso di cura dei corpi doloranti?

Lorena: Questa frase l’ho ripresa da Andrea, che la usa nel suo libro Il diritto di Antigone[2]: è un libro importante per noi, è un saggio che fonda il pensiero su cui basiamo la nostra pratica della cura. È vero che quando vediamo questi corpi di dolore sentiamo un appello che ci interpella: non puoi voltare la faccia dall’altra parte. Gli vai incontro, ti richiama e lì avviene qualcosa di straordinario, è una sorta di dono e di restituzione. Il dono è reciproco, noi riceviamo da questi ragazzi molto più di quello che diamo. Il fatto che loro si affidino alle cure delle mie mani è un atto di grande fiducia e fa nascere una relazione donativa del tutto gratuita, che non ha bisogno di uno scambio. Tutte le nostre relazioni invece sono basate sullo scambio: io ti do qualcosa tu mi dai qualcos’altro, lì invece c’è proprio la reciprocità e la gratuità della relazione. Su questo si basa la fiducia che si instaura e che non ha bisogno di un linguaggio parlato, ma è sufficiente quella comunicazione preverbale primaria che passa attraverso quel bouquet di sensazioni di empatia, di reciprocità che si avverte quando tu ti doni all’altro e l’altro si dona a te. E in questa donazione reciproca c’è un riconoscimento dell’abisso che c’è tra me e loro, perché c’è un abisso. Noi ci incontriamo nell’abisso delle nostre condizioni: se io mi ammalo, posso prendere un’aspirina e guarire, ma se lui si ammala, può prendersi una polmonite e morire e qui c’è l’abisso, ma su questo abisso ci incontriamo e restituiamo reciprocamente quello che la vita ha dato a me a lui. Ed è una restituzione di gioia, di vita: lui mi dona la restituzione di essere vivo, io gli posso donare il fatto che lui per me è prezioso. Questo incontro è una specie di alchimia, tra donatività e restituzione, però per fare tutto questo che si chiama pratica della cura ci vuole resistenza e senza lotta non c’è nessuna resistenza. Noi dobbiamo lottare ogni giorno contro i pregiudizi, le aggressività, dobbiamo mantenere molto viva dentro di noi la rabbia per non abituarci a quello che vediamo, perché a forza di vedere corpi torturati ci si può anche abituare, è importante sentire anche la rabbia che tutto questo ci sollecita. Noi non siamo dei samaritani, noi siamo dei testimoni, di quello che accade, come diceva bene Etty Hillesum. Vogliamo che questa testimonianza diventi una forma di ragione, di pensiero, di opposizione, di resistenza per tante altre persone.

È un’azione politica la vostra. Come Antigone, anche voi avete dovuto combattere contro le leggi dello stato, o meglio, le leggi dello stato hanno combattuto contro di voi

Gian Andrea: Sì, Il diritto di Antigone significa proprio questo: esiste un diritto superiore a quello degli stati, che è inscritto nei corpi, nella vita, che è scritto nella relazionalità dei corpi. Come accennava prima Lorena, il nostro corpo non è separato dagli altri corpi o dall’ambiente.

La separazione dei corpi è una costruzione sociale artificiosa che oggi esplode in pieno: basta camminare per un viale affollato di una città per notare come i corpi si evitino, se tu urti per sbaglio una persona c’è un atteggiamento di timore, di diffidenza, quasi di paura, se l’altro corpo è appena un po’ anomalo. Se uno si avvicina, per chiederti la carità, il primo gesto è quello di ritrarsi, perché non si è abituati che l’altro corpo ti si rivolga. Ci sono alcuni corpi, che tu hai contrassegnato come amici e parenti, gli altri sono corpi che possono essere ostili: la nostra attività vuole proprio criticare alla radice questo aspetto. Ma tu mi avevi chiesto un’altra cosa…

Sì: volevo fare riferimento al fatto che la vostra attività non era in sintonia con le leggi dello stato italiano, quindi avete avuto anche dei problemi legali[3].

Gian Andrea: Sì, abbiamo avuto dei problemi, tutto sommato banali, che poi si sono risolti. Avremmo preferito andare sotto processo, perché così avremmo potuto porre il problema e discuterne in un luogo pubblico, come bisogna fare: noi andiamo in giro per dichiarare palesemente che il nostro impegno è in nome di un diritto superiore a quello degli stati, per cui noi ci rapportiamo essenzialmente a quei migranti in transito, vale a dire a quelli che non vogliono fermarsi in Italia e quindi sono in condizioni di illegalità. Li aiutiamo ad andare dove vogliono attraverso una rete che esiste, pur tra mille difficoltà, quando partono da Trieste vanno in altre situazioni, se vogliono, che li possono accogliere e aiutare a proseguire il loro viaggio.


[1] Per il 2022 è stato stimato da Medici per i Diritti Umani (Medu) un transito di 145.600 persone attraverso la Rotta balcanica

[2] Gian Andrea Franchi Il diritto di Antigone. Appunti per una filosofia politica: a partire dai corpi dei migranti, ombre corte, Verona, 2022

[3] Gian Andrea e Lorena nel 2021 sono stati indagati in un’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, accusa successivamente archiviata dal tribunale di Bologna

Sfoglia la rivista on-line