«La vita finisce quando tutto si ferma. Come atlete dobbiamo muoverci con lei, imparare il suo passo, accelerare e rallentare a comando, fletterci e poi spiccare il balzo necessario a non essere disarcionate. Bisogna restare agili. Non giovani, agili. Flessibili. Bisogna imparare a muoversi a tempo con il Tempo. Senza ostinarsi nell’imitazione di modelli scaduti. Ma senza nascondersi. Soprattutto senza nascondersi».
Quanto è difficile per i boomers entrare nel “terzo tempo” della vita? Molto, nonostante siano stati i protagonisti di anni ruggenti, abbiano stravolto i modelli socio-culturali e le ideologie dominanti nella loro gioventù. Molto, perché ora, altri nuovi pregiudizi, discriminazioni e stereotipi si abbattono sulla loro stessa vecchiaia.
“Age pride”, libro di Lidia Ravera pubblicato nel 2023, è un lungo e ininterrotto monologo, quasi una lezione per quei giovani di allora, che “hanno vissuto per molti anni”, ma che ora non sanno come dare un senso a quelli che restano da vivere, ignari, soprattutto se soli, di come gestire il tempo che passa, privi di esempi cui ispirarsi! Infatti gli ultrasessantacinquenni non possono fare alcun paragone con i modelli del passato, perché le generazioni precedenti, quelle dei rispettivi genitori e nonni, non sono mai riuscite a raggiungere i traguardi odierni.
Il libro è un manifesto contro lo stigma che colpisce chi non è più giovane «Abbiamo vissuto troppo, sappiamo troppo per essere infilati a forza in una categoria», ma è anche un invito convincente a un cambio di prospettiva: quella dell’orgoglio di aver vissuto, della voglia di continuare il viaggio della vita.
Attraverso il racconto del proprio rapporto conflittuale con l’età che avanza, Lidia Ravera ci parla della vecchiaia come di un concetto distorto, ugualmente detestata da uomini e donne, anche se per motivi differenti.
Per le donne, così sottolinea l’autrice: “Basterebbe esporre con orgoglio le poderose conquiste dell’intelligenza, del gusto, dell’ironia, della leggerezza, dell’empatia, basterebbe sventolare la bandiera della durata, che non è noia, non è ripetizione, non è calma piatta e inevitabile declino, o almeno non solo, ma anche, e nobilmente, il frutto della fatica di vivere, del talento che richiede equilibrare consapevolezza e aspettative, basterebbe creare invece di copiare, rilanciare invece di sottostare, riscrivere i codici di accesso a una felicità, relativa, ma di nuovo possibile, basterebbe ribellarsi invece di obbedire alla legge del mercato dei corpi eterni”. “Il Terzo Tempo della vita è un buon momento per esercitarsi a cambiare”, per una vera rivoluzione interiore.
È la rivendicazione dell’orgoglio di una generazione di donne che, avendo ottenuto il divorzio, modificato il diritto di famiglia, riscritto nuovi codici della convivenza e della collettività, perché dovrebbe smettere proprio adesso di competere? Anzi adesso è il momento buono per i “Grandi adulti”, di considerare il passare del tempo come un alleato che consente una rivoluzione interiore, un’imprevista libertà, e di mettere il proprio capitale di saperi al servizio della collettività. Per i grandi adulti è ora di dichiarare la propria età, senza più vergognarsene!
Se la vita è un viaggio, ogni età è un paese straniero, che tutti attraversano per un tempo limitato, destinati di volta in volta a “traslocare e a trasferirsi nel Paese successivo.” Tuttavia, quando si entra nella vecchiaia, si sa che sarà l’ultimo luogo del vivere. Lo si sa da sempre, ma tale inevitabile evento sembra così lontano …
Eppure la vecchiaia è una presenza costante nei pensieri di tutti, è la paura della malattia, della solitudine … Forse però si può smettere di avere paura. Se il tempo vuole cambiare le persone in peggio, gli si può opporre il proprio personale modo di cambiare, quello che ognuno sceglierà, per bonificare quel “territorio che stiamo attraversando, da tutto il fango accumulato”.
Le citazioni di grandi scrittori (Walt Whitman e Simone de Beauvoir) sul tema, incoraggiano, e non con fine consolatorio, a non aver paura di pensare! E neppure di agire! In fondo: “La patologia più grave della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo” (Hillman).
Senza nostalgia del proprio passato, lasciando andare la gioventù e le versioni passate di se stessi, ognuno deve imparare a vivere la longevità come una conquista, liberandosi dalle finte verità, deve abbandonare la paura e il conformismo.
Il monito “Chi non muore giovane invecchia”, riguarda tutti!
I grandi adulti devono riscattarsi e rivendicare la propria dignità e diritti, per tutte le volte in cui sono stati sottovalutati o ignorati; per le volte in cui, se ricoverati in ospedale, anziani signori vengono chiamati “nonni” e a ad essi viene riservato di default il “tu” (non reciproco), secondo un discutibile e diffuso costume comune a medici e infermieri; per le volte in cui, in tempo di covid, sono stati sacrificati, in completa solitudine, a favore dei più giovani); per le volte in cui vengono reclusi in strutture di dubbia reputazione, o isolati, in povertà (due milioni di italiani percepiscono pensioni inferiori ai 500 euro mensili), e nelle condizioni in cui è facile maturare infelicità e voglia di morire.
Dietro le sbarre di una gabbia che imprigiona l’ultimo tempo della “carriera di esseri umani”, come per voler cancellare l’ultima stagione della vita, l’anziano è, al massimo, accompagnato da un medico e dai farmaci, ma se vorrà essere guidato nel riconoscimento e approfondimento dei propri conflitti interiori, non avrà a fianco nessuno che possa educarlo a nuove possibilità.
Oggi un terzo della popolazione italiana è composto da ultrasessantenni, che hanno davanti decenni di vita ancora da vivere, come mai è successo prima, quando, una volta diventati vecchi, si moriva.
Troppo poco si fa a favore di questa popolazione aumentata del 155% negli ultimi quarant’anni (a fronte di un incremento di popolazione del 20%), e delle prospettive future. Si muore di meno e si nasce anche di meno. La popolazione giovanile diminuirà nel prossimo decennio di 250.000 unità, mentre la popolazione anziana crescerà di 50.000, creando uno squilibrio che non sarà più sostenibile.
Tanti e quindi non più ignorabili né trascurabili!
L’autrice, che per cinque anni è stata assessore alla Regione Lazio, con delega alla Cultura e alle Politiche giovanili, si interroga sulla possibilità che venga istituito anche un ministero per le politiche senili, cui affidare il compito di esplorare le difficoltà, le malinconie e la disperazione che spesso accompagnano questo tratto finale, di cercare soluzioni e affrontare concretamente i problemi reali degli over 65, di riflettere su come rendere più vivibili e umani, fino all’ultimo respiro, quei loro nuovi anni in più, che prima non c’erano. Prendendo coscienza che l’Italia è un paese di vecchi, ma non per vecchi.
Ecco allora che anche i grandi adulti di buona volontà, grazie al fatto di essere così numerosi, potrebbero dare un significato a “quel che resta del giorno” e conquistarsi una rappresentanza politica, sociale e culturale, per progettare nuove linee guida delle politiche a favore della senilità di oggi e di domani.
Per combattere l’insidia peggiore per i grandi adulti, quella di richiudersi in se stessi, è d’obbligo convincersi che, avendo transitato per tante epoche diverse tra loro, si è pronti a continuare a vivere, e non inutilmente, ribaltando il pregiudizio che “La vecchiaia è un tempo inutile”. Potrebbe rivelarsi invece utilissimo, oltre che a se stessi e ai propri coetanei, a quel mondo di più giovani e fragili che hanno ancora bisogno di loro.
Lidia Ravera è giornalista e scrittrice. Nel 1976 ha lasciato il segno con quello che poi sarebbe diventato un longseller “Porci con le ali”, diario di due adolescenti, scritto insieme a Marco Lombardo Radice. In seguito ha scritto romanzi, saggi e alcuni racconti; Ha collaborato a numerose sceneggiature per il cinema e per alcune serie televisiveRAI e scrive per Il fatto quotidiano e Donna Moderna.
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