L’ospite di questa seconda puntata della rubrica “Migranti” è Moussa Bah, agricoltore e allevatore del Gambia, partito da Basse, la sua città natale, il 24 dicembre del 2013, oggi florovivaista della Cooperativa Sociale Risorse.
No, non ho pensato “vado in Italia”, anche se ne avevo sentito parlare; sapevo solo di dover lasciare la mia terra. È stato un lungo viaggio, durato quasi due anni, quello che mi ha portato fino a qui.
Dal Gambia sono arrivato in Senegal, dove sono rimasto solo per pochi giorni, il tempo di organizzarmi e spostarmi in Mali, nella capitale Bamako, in cui ho lavorato per 4-5 mesi come aiuto-trasportatore, caricavo e scaricavo cartoni. Dal Mali mi sono poi diretto in Niger e ho vissuto per 3 mesi a Niamey. Proprio lì, nella capitale nigeriana, ho incontrato un commerciante di cammelli libico, che di mestiere portava gli animali dalla Libia al Niger, che mi ha proposto di lavorare con lui, andando avanti indietro fra i due paesi, e ho accettato.
In uno dei trasferimenti mi sono trovato da solo alla frontiera con la Libia, proprio durante la guerra; ho cercato di contattare il mio capo ma non si è più fatto trovare, ha cambiato numero di telefono e mi ha abbandonato al mio destino. Fortunatamente, dopo qualche giorno di paura, senza mangiare, ho incontrato una persona generosa che mi ha aiutato molto. Quando mi ha visto mi ha detto: “se tu stai qua, puoi morire in qualsiasi momento; vieni ti porto a casa mia a fare le pulizie”.
La situazione in Libia stava peggiorando, volevo rientrare in Niger ma non era possibile, il mio nuovo capo, che si era affezionato a me, allora mi ha trasferito in un’altra sua casa a Tripoli. È stato un viaggio difficilissimo, ne ho fatto dei pezzi anche nel baule della macchina, ma poi per qualche mese sono stato bene: non pagavo l’affitto e guadagnavo parecchio. Purtroppo però il Libia non c’è legge, e un giorno rientrando dalla spesa, mi ha fermato la polizia, mi ha sequestrato il passaporto, da quel giorno non l’ho più rivisto, e mi hanno sbattuto in prigione, senza che avessi fatto nulla. Sono stato tre mesi nelle carceri libiche, poi, siccome alcuni imprenditori vengono, con la connivenza della polizia, a cercare lavoratori gratis fra i prigionieri, mi sono offerto come muratore per un cantiere e sono riuscito a scappare e a imbarcarmi verso la Tunisia.
Siamo saliti all’una di notte, senza mangiare e senza sapere dove stessimo andando. Siamo rimasti in mare 5 giorni, avevamo acqua, ma eravamo quasi tutti morti di fame. Siamo stati fermi con il motore spento, in mezzo al mare, per un tempo che non so quantificare. Poi ci ha intercettato una nave da pesca, credo tedesca. Gli diciamo che vogliamo andare in Tunisia, ma eravamo già in acque italiane e ci hanno sbarcati in Sicilia. Era la metà di marzo del 2015.
Dalla Sicilia mi hanno mandato direttamente al centro di accoglienza di Verbania, era il 25 marzo, me lo ricordo bene. Per due settimane non sono uscito da lì, dopo la Libia ero terrorizzato dalla polizia. Così il responsabile del centro mi dice, facendosi tradurre da uno che è in Italia da tanti anni e che parla lingua mandinka, che io capisco anche se il mio dialetto è il pulaar, “qui in Italia ci sono le regole, se non fai male a nessuno, nessuno ti fa del male”.
Da allora ho cominciato l’iter con la Questura e dopo quattro tentativi ho ottenuto il permesso di soggiorno. Nel frattempo avevo cominciato a studiare l’italiano e a fare diversi corsi di formazione lavoro.
Ho iniziato a lavorare in cooperativa nel 2017 e dal 2019 ho un contratto a tempo indeterminato. All’inizio mi sembrava un’attività molto faticosa, poi, piano piano, è cambiato tutto. Mi trovo benissimo, ho potuto fare tanti corsi di formazione per utilizzare i mezzi, i prodotti per diserbare, le attrezzature. Basta avere voglia di lavorare e di capire, bisogna chiedere, oggi mi sento di dire che è come se fosse mia.
Sono felice, sono molto molto felice, perché sono autonomo, ho una casa, intestata a mio nome, pago le mie spese, faccio la mia vita tranquilla senza disturbare nessuno e nessuno mi disturba, quindi sono felicissimo.
Sì. Appena arrivato cucinavo solo piatti africani, per sentire meno la nostalgia di casa. Il cibo italiano non mi piaceva per niente, soprattutto la pasta. Oggi? Non riesco a stare un giorno senza pasta e ho anche imparato a cucinarla.
Mi manca tanto la mia famiglia, sogno di portare qui mia moglie e i miei figli, non voglio che crescano come sono cresciuto io, né che possano passare quello che ho passato. Voglio farli studiare. Io sono andato a scuola per la prima volta qui in Italia. Per ora loro sono ancora piccole, 12 e 9 anni, e, grazie al mio lavoro qui, stanno già andando a scuola nel mio paese. Appena mi daranno i documenti necessari le farò venire in Italia. Questo è il mio sogno ora!
Ascolta la testimonianza di Moussa nel video MIGRAZIONI – Storie Umane di Rinascita in un’economia in trasformazione del regista verbanese Lorenzo Camocardi. Sceneggiatura e interviste Cristina Barberis Negra
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